Periscopio – Un sistema
veramente democratico

lucreziNella mia nota di mercoledì scorso, dopo avere esposto succintamente le ragioni della mia insoddisfazione rispetto allo scenario politico attuale del nostro Paese (insoddisfazione disperatamente estesa a tre diverse situazioni: il governo giallo-verde di ieri, quello giallo-rosso di oggi e quello [verde-nero?] che non c’è mai stato), concludevo dicendo che c’era un altro, più importante motivo del mio malumore, e che l’avrei esposto nella mia nota della settimana successiva, cioè di oggi.
Ebbene, il motivo è questo. La parola ‘democrazia’, com’è noto, ha mille accezioni diverse. Nell’antica Grecia, com’è noto, la democrazia era una delle possibili forme di governo, che, al pari delle altre – monarchia, aristocrazia e altre -, poteva essere accettata o respinta. Non era assolutamente l’unico modello di società concepibile, né necessariamente il migliore. Nel mondo contemporaneo, per un serie di ragioni, la democrazia si è trovata a diventare, sulla base di una gigantesca, universale ipocrisia, l’unico tipo di organizzazione sociale accettabile. Quale capo di Stato, oggi, accetterebbe di definirsi “antidemocratico”? Ma proprio questo falso e illusorio unanimismo ha finito, in fondo, per snaturare il concetto di democrazia. Diciamo la verità: oggi la parola ‘democrazia’ non significa un bel niente. Si può dire solo, sulle orme del buon Montale, ciò che essa “non è”, “non vuole”. Ebbene, con molta umiltà, sulla base dei miei autori di riferimento (da Platone a Casavola, passando per Tocqueville), ritengo che, tra le varie cose che la democrazia “non è”, “non vuole”, c’è innanzitutto la parola “popolo”. Il governo diretto del popolo, insegna Platone, non è democrazia, ma “oclocrazia”, potere della folla. Chi richiama urlando l’articolo 1 della nostra bellissima Costituzione repubblicana, secondo cui “la sovranità spetta al popolo”, si guarda bene dal citarlo nella sua interezza: “…che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”. Forme, limiti. E quindi, soprattutto, regole. Un potere del ‘popolo’ senza regole è l’esatto contrario della democrazia, come ben spiegò Tocqueville, nel suo attualissimo saggio “La democrazia in America”, dove parlò, con triste profezia, di “tirannia delle masse”. E Casavola ha spiegato che una vera democrazia non dovrebbe mai sentirsi minacciata da chi, di volta in volta, esercita funzioni governo, perché il governo non è che una transitoria amministrazione della macchina statale, compiuta in nome e nell’interesse di tutti, di chi ha vinto come di chi ha perso le elezioni. La democrazia ha la sua verifica, il suo termometro non nei risultati degli spogli elettorali, ogni tanti anni, ma, ogni giorno, ogni ora, nelle scuole, nei tribunali, nei giornali, nelle prigioni, negli ospedali. È là che si vede se c’è, o non c’è, la democrazia.
In un sistema veramente democratico, quel che è davvero essenziale è il controllo, la vigilanza sulle regole, sul rispetto dei diritti di tutti e di ciascuno. Il ruolo centrale ed essenziale lo hanno il Parlamento, la magistratura, l’informazione e gli organi di garanzia. Non il governo, che esercita una funzione derivata e secondaria. E, in un sistema siffatto, una forza politica dovrebbe sentirsi onorata a svolgere, dall’opposizione, un ruolo di pungolo, vigilanza e sollecitazione. I partiti dovrebbero allearsi solo sulla base di una reale condivisione di programmi, cultura politica e obiettivi da raggiungere, altrimenti dovrebbero restare serenamente contrapposti, sia pure accomunati da una comune fedeltà ai valori di fondo del patto costituzionale. Non dovrebbero scendere ad alleanze contronatura, di mera convenienza momentanea. E ciò, soprattutto, per non privare i cittadini della possibilità di sentirsi uguali ma diversi, di essere partecipi di una casa comune, ma, al contempo, portatori di specifiche identità culturali, di distinte tradizioni di pensiero. Per non spingerli verso la delusione, l’indifferenza, il qualunquismo, il rifiuto di quella cosa, che dovrebbe essere bella e nobile, che è la politica.

Francesco Lucrezi, storico