Amare gli ebrei
e odiare Israele
Non è infrequente il caso, specialmente tra gli intellettuali, di persone che esprimono nei confronti degli ebrei, in quanto perseguitati, sentimenti di calda solidarietà, salvo poi rovesciare questi sentimenti quando gli stessi ebrei – realizzando un programma formulato ben prima della Shoah ma che dal genocidio nazista ha ricevuto un ulteriore impulso – fondano uno Stato che ha le caratteristiche di ogni altro Stato, prima di tutte quella di difendere se stesso e i propri cittadini dai nemici esterni e interni, soprattutto quando il programma dichiarato di questi nemici è la distruzione dello Stato stesso.
È questo atteggiamento che emerge dall’ultimo libro di Sergio Luzzatto (“Un popolo come gli altri. Gli ebrei, l’eccezione, la storia”, Roma, 2019), una raccolta di note e recensioni che vanno dal 2005 al 2019, pubblicate su vari quotidiani, e articolata in quattro parti. È soprattutto nell’ultima parte che questo atteggiamento di radicale negatività nei confronti dello Stato d’Israele si manifesta pienamente, ma una lettura attenta permette di rintracciarlo anche quando l’argomento dei libri recensiti è di tutt’altro genere e quindi anche nelle prime tre parti dedicate a scritti che ruotano intorno alla secolare persecuzione degli ebrei, dal Medioevo fino alla Shoah. Quando recensisce volumi che trattano delle persecuzioni degli ebrei Luzzatto ha non solo accenti di autentica partecipazione ma, da storico di valore quale egli è, fornisce al lettore originali strumenti di lettura e di interpretazione. Tutto cambia quando passa a parlare di Israele: allora il registro muta radicalmente e vengono presentati, acriticamente e apoditticamente, i più logori luoghi comuni elaborati dalla propaganda antiisraeliana nel corso di settanta anni.
Per mettere in evidenza l’atteggiamento di Luzzatto non posso fare altro che seguire la sua stessa esposizione, nell’ordine da lui scelto, trascurando la successione cronologica degli articoli. Si può cominciare dalla lunga recensione dell’opera di Jonathan Littell “Le benevole” che ha per titolo “Umiliati che offendono”, dove, verso la fine, in maniera del tutto incongrua rispetto a quanto scritto in precedenza, si fa riferimento alla “eventualità che gli ebrei scampati al genocidio possano trasformarsi essi stessi nei carnefici di qualcun altro (in israeliani che massacrano palestinesi, ad esempio)”. Questa è un’affermazione paradigmatica dello stile di Luzzatto: si butta là una frase estremamente pesante, un giudizio senza appello, senza una spiegazione, una contestualizzazione: dove, quando, in che modo gli israeliani massacrano i palestinesi? Luzzatto non lo dice e questo non è accettabile da uno storico del suo valore: si limita a buttar là un luogo comune della propaganda antiisraeliana anche quando il contesto non lo richiede; e infatti lo stesso Luzzatto è costretto a scrivere che “non che ciò sia scritto nero su bianco nel libro di Littell”; ma, secondo lui, lo si ricava dalla affermazione di un protagonista del libro che sostiene che gli ebrei stanno ridiventando guerrieri, citando casi di rivolta contro gli aguzzini nazisti. Ecco, questo è uno dei noccioli del pensiero di Luzzatto: gli ebrei devono restare perseguitati, quando si ribellano “diventano anche loro degli assassini”.
Basterebbe questo primo riferimento per comprendere la tesi di fondo di Luzzatto, ma conviene seguirlo puntualmente nel resto delle sue recensioni. Scrivendo del libro di Norman Finkelstein “L’industria dell’Olocausto” (la recensione ha per titolo “La soluzione immorale”), senza nemmeno entrare nel controverso tema già adombrato nel titolo del libro, va sottolineata l’affermazione di Luzzatto che “statisti come Ariel Sharon hanno potuto mascherarsi dietro la Conferenza di Monaco del 1938 o quella del Wansee del 1942 per far scorrere a fiumi il sangue innocente dei massacri di Sabra e Chatila e quello di Jenin”. Colpisce la volgarità propagandistica di questa affermazione che vuole insinuare una diretta responsabilità israeliana nell’episodio di Sabra e Chatila, compiuto da milizie cristiano-maronite, senza d’altra parte ricordare che fu la stessa magistratura israeliana a intervenire per sanzionare la responsabilità di Sharon nel mancato intervento delle truppe israeliane.
La stessa linea e lo stesso linguaggio vengono usati da Luzzatto recensendo il libro di Idith Zertal “Israele e la Shoah” (il titolo dell’articolo è “Il trasloco della Shoah”). Anche in questo caso, senza entrare nel merito dell’opera che ripete la tesi dello sfruttamento della Shoah da parte dello Stato di Israele, merita sottolineare che ciò che Luzzatto rifiuta è che Ben Gurion e gli altri dirigenti dello Stato d’Israele volessero mettere in evidenza il coraggio di coloro che si erano ribellati ai nazisti.
Questa linea prosegue con la recensione del romanzo di Giaime Alonge “Il sentimento del ferro” (titolo dell’articolo è “La corazza di Israele”), dove viene inserita l’affermazione sulla “beffa giocata dalla Storia agli ebrei, vittime del loro proprio militarismo dopo aver pagato il più alto dei prezzi al militarismo teutonico”.
Anche a proposito di una polemica tra il giornalista di “Repubblica” Sandro Viola e il presidente dell’Unione delle Comunità ebraiche italiane Amos Luzzatto in merito al ritiro degli israeliani da Gaza deciso da Ariel Sharon (“Lontano da Gerusalemme”), merita di sottolineare il linguaggio usato da Sergio Luzzatto quando parla di “qualche migliaia di integralisti armati fino ai denti che hanno scelto di vivere blindati tra un milione e mezzo di miserevoli palestinesi”.
Naturalmente la diffamazione dell’esercito israeliano è uno degli esercizi nei quali Luzzatto dà il meglio (o il peggio) di sé. Dopo aver definito Tsahal “strumento d’oppressione” (“Grossman e il dolore”), si scatena in occasione della trattativa per la liberazione del soldato Gilad Shalit (“La strage degli innocenti”). L’invettiva di Luzzatto non ha limiti: “Non è morale un esercito che maramaldeggia da decenni sopra un avversario privo di un singolo aereo o di un singolo tank. Non è morale un esercito che saluta come brillanti operazioni militari dove si uccide cento a uno. Soprattutto, non è morale un esercito che accetta a cuor leggero di annientare i bambini e gli adolescenti”. A Luzzatto non viene in mente che quella che viene combattuta è una guerra asimmetrica, dove non sono due eserciti ad affrontarsi in campo aperto, ma dove un avversario spietato utilizza le armi del terrorismo per colpire, lui sì, civili inermi.
Non poteva mancare, in conclusione, il riferimento a un documento di ex militari e riservisti che criticava il comportamento dell’esercito israeliano nei territori (“Rompere il silenzio”). Non viene in mente a Luzzatto che, al di là degli episodi denunciati che devono certamente essere criticati, il fatto stesso che militari ancora sottoposti alla disciplina dell’esercito possano liberamente esprimere il loro pensiero costituisce proprio la prova di quella moralità di Tsahal di cui Luzzatto si fa beffe.
Ma questa nota è fin troppa lunga: poteva bastare, per comprendere la posizione di Luzzatto, una sola citazione, quella nella quale, sempre nell’ultimo articolo citato, si sostiene che Israele si sta trasformando in “un indicibile Stato-canaglia”. Di fronte a un odio così viscerale, le armi della ragione sono spuntate.
Valentino Baldacci
(3 ottobre 2019)