Duci e truci

claudio vercelliMentre con piglio ducesco il leader maxismo di Ankara “spezza le reni” ad una pavida ed improvvisamente afona Unione europea, minacciandola di gettargli addosso frotte (anche flotte?) e sciami di migranti, da lui altrimenti cortesemente trattenuti previa corresponsione di laute compensazioni economiche, la vicenda curda si consuma nell’ignavia collettiva. Certo, hanno la storica responsabilità di non avere partecipato allo sbarco in Normandia del 1944, come ha ricordato il pop-miliardario che siede (non si sa con quanta consapevolezza di ruolo, ad onore del vero) sull’alto scranno che fu già di George Washington e di Franklin Delano Roosevelt. Invero, alcuni loro progenitori, furono anche compartecipi del genocidio degli armeni (c’è proprio scritto genocidio, parola che in lingua turca è impronunciabile). Un fatto storico reale, quest’ultimo, che tuttavia nulla ha a che fare con le generazioni dell’oggi, che hanno invece lottato in prima fila per la nostra libertà, contro il mostro dell’Isis. Per gli Stati Uniti del tycoon presidenziale tutto si tiene e tutto si butta al medesimo tempo. Anche il senso del pudore, che fa rima con una parola decaduta, ossia onore. Onore politico, rispetto dei patti, considerazione reciproca. Tutto è intercambiabile magari al quesito-motto di “quanto costa?”. Comunque, mal che vada, un giorno l’Unione europea potrà proclamare alla bisogna una Giornata della Memoria per i curdi. Ne è particolarmente prodiga. Si sa, celebrare i morti costa assai meno che aiutare i vivi. Soprattutto se dietro c’è un tradimento. Il mondo ebraico ne è consapevole. Sulla sua pelle. La recente risoluzione del Parlamento europeo, prolissa e incongrua, su nazismo e comunismo, è un tartufesco pasticcio nel quale, tra l’altro, si evoca e si invoca l’istituzione di altre giornate di commozione e commemorazione. Tanto per dire. Quanto alla Germania, che pure pareva essersi emendata, con un encomiabile sforzo di autoanalisi, da eccessive compiacenze con un passato che non passa – anzi, che per certuni dovrebbe tornare – è bene sapere che la polizia di alcune sue municipalità non sa neanche dove siano collocati i siti sensibili. L’attacco alla sinagoga e poi all’obiettivo “musulmano” si è consumato lungo un esasperante arco di tempo, nel mentre sembrava che le forze dell’ordine avessero problemi di identificazione topografica. Uno smartphone, con un sistema Gps funzionante, è chiedere troppo? Sembrerebbe una ridicola pochade, se non fosse che ci sono stati due morti, del tutto incolpevoli. E molti altri, anch’essi incolpevoli, sarebbero deceduti se non avessero avuto la prontezza di riflessi di autodifendersi con quel poco che avevano a portata di mano. Poiché se le istituzioni deflettono dal loro ruolo sovrano, quello di difendere e tutelare i cittadini e la collettività, questi ultimi cosa possono fare se non cercare di sopravvivere con gli strumenti che hanno a disposizione? Che il neonazismo e i fascismi di ritorno si stiano riconsolidando sulla scena europea – tra duci e truci (da Ankara a Mosca, passando per alcune capitali europee, per le quali il rapporto con il passato è esercitato con la rimozione forzata, il carro attrezzi dell’oblio), e un islamismo radicale esplicitamente fascistoide (molte cose compartecipano di un processo omologo, madama la marchesa!), che trova ora insperata “solidarietà” nella determinazione anticurda dell’autocrate del Bosforo – è cosa che da tempo, chi lavora sull’analisi di queste dinamiche in maniera non occasionale, va denunciando. Inascoltato. Il clima di esasperazione populistica che è stato profuso a piene mani nel nostro Continente, come falsa risposta a problemi reali, ne fa da collante. Ovvero, da strumento di sdoganamento. Non genera la violenza ma la rende più plausibile. I radicalismi mortiferi e necrofili non germinano da sé ma nell’involuzione dei sistemi democratici, ossia nella loro chiusura rispetto alle politiche dell’inclusione. Dietro ai muri dell’identitarismo beota. I bambocci che si baloccano nella conta di quanto sia più pericoloso l’una violenza rispetto all’altra, quanto sia di “sinistra” o di “destra” questo piuttosto che quello, non hanno capito che stanno giocando con il pallottoliere della propria esistenza. Le pallottole non hanno colore e neanche l’odio, che è il motore (insieme agli inconfessabili interessi materiali dei burattinai) della decadenza delle relazioni sociali. Chi odia, peraltro, è fiero di darne dimostrazione. Lo esprime pubblicamente come se ciò fosse una qualità da rivendicare con quotidiana ossessione. Chi spara lo fa non nella sua solitaria follia (i “depressi”) ma dentro una cornice di rabbiosità diffusa, tanto ferina quanto impolitica, incapace di offrire delle soluzione ma in grado di legittimare le peggiori pulsioni. Quanto alla morte, ha il colore pallido e tremulo dei cadaveri che giacciono per terra. Detto questo, è cosa buona rinnovare un omaggio deferente alla collega Anna Stepanovna Politkovskaja, assassinata tredici anni fa per la ricerca di quella verità che fa rima con giustizia. Due ingredienti fondamentali per la vita di chi non vuole essere un ebete schiavo, ancorché compiaciuto delle sue catene, passando le giornate ad inveire contro la luna.

Claudio Vercelli