Cos’è il razzismo
Il razzismo sussiste quando la differenza, tra persone e gruppi, è usata come base per manifestazioni ostili dell’uno nei confronti dell’altro.
Il razzista è colui che afferma, preliminarmente, l’esistenza di differenze biologiche tra le persone: colore della pelle, forma del naso, odore, composizione del sangue, o anche maniera di atteggiarsi, di camminare, di guardare. In alcuni casi queste differenze sono reali ed evidenti. In altri, si tratta di differenze presunte, inventate o interpretate: il razzista opera, nel suo discorso e nel suo comportamento, come se esse esistessero realmente. Da qui il razzista fa derivare una conseguenza da lui ritenuta “logica”: questi tratti dall’altro hanno sempre un coefficiente negativo, sono significativamente cattivi. Essi, indicano, allo stesso tempo che quelli del razzista sono buoni.
L’argomento razziale, nella sua forma biologica, può essere, comunque, abbandonato, poiché sono molte le forme per aggredire che è percepito come diverso: gli usi, il modo di pensare, la psicologia, la cultura, i costumi, le istituzioni. Si può, per esempio, sostituire il rifiuto fondato sulla carnagione scura o sulla fisionomia levantina, per attaccare la religione, il cibo, il rapporto tra uomini e donne, la solidarietà reale o presunta del gruppo.
Esiste il razzista che, riferendosi alle differenze fisiche tra sé e l’altro,’ se ne serve per prefigurare una discriminazione di quest’ultimo; che crede di poter riunire dei tratti differenziali in configurazioni coerenti; che definisce ‘razza’: quella altrui detestabile, la sua apprezzabile; che, autorizzandosi con questa superiorità particolare, pretende di godere legittimamente di vantaggi: economici, ad esempio, o politici, o semplicemente di prestigio.
Il discorso del razzista, comunque, non è sicuro nelle sue basi, non è coerente nel suo sviluppo, non è giustificato nelle sue conclusioni: è una scelta passionale o deliberata. È una concezione dell’uomo e dei rapporti umani in cui il conflitto è esaltato e la vittoria del più forte giustificata.
Il razzismo è un discorso efficace e insieme ingenuo: per capirlo bisogna chiedersi a cosa mira e da dove ha origine. Non essendo una teoria ma una pseudo teoria non basta denunciare l’incoerenza razionale di tesi palesemente prive di ragione, né ridicolizzare o confutare l’argomentazione del razzista.
Il razzismo è un dato culturale, sociale e storico. Ogni collettività a contatto con un gruppo diverso, o poco familiare, reagisce in un modo che può preludere al rifiuto e all’intolleranza. Si rischia un comportamento razzista ogni volta che ci si sente minacciati nei propri privilegi, nei propri beni o nella propria sicurezza. Ci si comporta da razzisti per ristabilire un equilibrio che si crede perduto o in procinto di esserlo. La tentazione è frequente e il razzismo è una delle risposte più diffuse di fronte alla paura e a minacce il più delle volte illusorie.
Il funzionamento di ogni società presuppone una dipendenza reciproca tra i suoi membri. Il razzismo è una deficienza nella relazione con gli altri, una deficienza “abituale”. L’incontro con il diverso o con lo straniero provoca una messa in guardia più o meno grande a seconda della distanza delle rispettive appartenenze. La differenza sconcerta, perché è l’ignoto, e l’ignoto genera incertezza. La differenza preoccupa anche se, a volte, seduce. La seduzione, del resto, non è in contrasto con l’apprensione e l’inquietudine di fronte a un fenomeno non conosciuto.
Il razzismo non è un’emozione pura: vissuto concretamente è una relazione tra l’esperienza propria e quella dell’altro, con le sue ricchezze inquietanti. È, contemporaneamente, un conflitto tra appartenenze, che forniscono mediazioni, generalizzazioni, immagini e argomenti a sostegno e a conforto degli alibi e dei miti. Il razzismo si collega alle norme relazionali, ma anche giuridiche e di tutela. Dipende dalla fase temporale in cui si situa e dal sistema di rapporti in essa vigente.
La differenza è il perno del procedimento razzista. Il “diritto alla differenza” è legittimamente il vessillo per numerose battaglie rivendicatrici: non è importante la differenza quanto il significato che le si attribuisce.
Il passato dell’occidente non è esente da conflitti, tragedie, guerre – legate alle differenze – che caratterizzano il processo graduale di costruzione della nostra democrazia. Per questo la differenza non può essere considerata in sé ma va legata alla storia personale e collettiva, a gruppi, a popoli, a nazioni.
La vera posta in gioco non è la differenza ma la sua utilizzazione come arma contro l’altro.
Qui sta la perversione del razzismo. Le differenze possono esistere o non esistere e non sono né buone né cattive di per sé stesse. Non si è razzisti, o antirazzisti, segnalando, o negando, le differenze, ma usandole contro qualcuno, in proprio favore.
La finalità del razzismo sta nella dominanza: il razzismo illustra e simboleggia l’oppressione. Il razzismo è, nello stesso tempo, l’ideologia e la manifestazione attiva di presunta supremazia culturale.
Il razzismo presenta due caratteri costanti: la globalizzazione e la tendenza all’assoluto. Queste due caratteristiche non sono sempre evidenti. Può sembrare che il razzista si accontenti, a volte, di indicare all’ignominia un dato individuo senza riferimenti al suo gruppo e alla durata: la generalizzazione è in questo caso sottintesa. L’accusa si riferisce quasi sempre, almeno implicitamente, alla quasi totalità dei membri del gruppo, di modo che ogni altro membro cade ugualmente sotto la minaccia della stessa accusa. D’altra parte, l’accusa è illimitata nel tempo; nessun avvenimento previsto metterà mai fine a un tale processo. Accusare una donna di avere “i capelli lunghi e le idee corte” perché donna, indica che tutte le donne sono cosi.
Il razzismo ha radici emozionali e affettive ma la sua formulazione è sociale: il razzismo è una proposta culturale, è un linguaggio collettivo al servizio delle emozioni di ciascuno. Il procedimento razzista è anche doppiamente socializzato: nel suo discorso e nel suo bersaglio. È un discorso formulato da un gruppo e che si rivolge a un gruppo.
La funzione del razzismo si chiarisce ancora di più attraverso questa totalizzazione. L’individuo non è più considerato per sé stesso, ma come membro di un gruppo sociale di cui deve possedere a priori i caratteri. Quando il razzista riconosce delle qualità di una persona di un gruppo giudicato inferiore, è con stupore che afferma: “ci sono brave persone dappertutto”, o, più chiaramente: “non sei come gli altri”, oppure “ho un amico ebreo, ma gli ebrei…”. Del resto anche per queste “eccezioni che confermano”, la sospensione del giudizio è solo provvisoria. Il sospetto non scompare mai del tutto, è semplicemente ridotto al minimo, mascherato da un’indulgenza provvisoria.
L’altro tipo di totalizzazione, è l’estensione nel tempo. Il razzista vede nell’etichetta che mette sul viso della sua vittima i suoi tratti definitivi: “il nero non è padrone della tecnica” significa che non ha mai potuto esserlo, non lo potrà essere mai. Si potrà dire che lo si era visto con il colonizzato: non avrebbe mai capito niente dell’industrializzazione, della scienza, del progresso.
La vittima del razzista è come questo la dipinge e destinata ad esserlo e votata a restarlo fino alla fine dei tempi.
La totalizzazione sociale e temporale si trasforma in sicurezza metafisica. È un passaggio all’assoluto: il nero, l’arabo, il gitano, l’ebreo, persino la donna diventano figure negative.
Il razzismo consiste in una messa in risalto di differenze esprimendo un giudizio di valore negativo a priori su di queste differenze.
La negazione del diritto per ciascuno di continuare a vivere a modo proprio, nel rispetto degli altri e delle regole stabilite di convivenza e democrazia è razzismo in quanto rifiuta ciò che va considerato legittimo. Si è razzisti quando si utilizza la differenza contro gli altri.
Il razzismo è per questo definibile come un giudizio sulle diversità, generalizzato e definitivo, al di là di differenze reali o immaginarie, al fine di giustificare un’aggressione o un privilegio.
Il razzismo è l’esito finale di un percorso che fonda sull’intolleranza e sul fanatismo, la cui essenza sta “nel desiderio di costringere gli altri a cambiare”. Su ciò fonda un’intolleranza che riemerge con virulenza di fronte a un quadro sociale e demografico che pone ogni cultura e società al confronto con le diversità e alla necessità di prefigurare un futuro che ne salvaguardi la natura e le conquiste.
L’esperienza del suggerisce di affrontare la questione sostenendo le libertà fondamentali della persona ovunque e comunque, al fine di rendere possibili a tutti la realizzazione di quanto ritengono giusto in ragione dei propri riferimenti morali.
Su questo, fonda un’idea di giustizia che propone una costante ricerca del bene collettivo e attribuisce alle istituzioni il compito di porre le condizioni affinché, nel libero confronto delle idee, questo possa essere conseguito. Senso di giustizia e concezione del bene sono gli elementi portanti di un pensiero che si basa sul rispetto della differenza come presupposto di scelte razionali per il nostro futuro.
Il problema assume un’estrema complessità quando tale rispetto si lega a bisogni propri delle persone, incidendo sulle loro condizioni di lavoro, di servizi, di vita. Per questo si impone una faticosa opera di comprensione e di confronto, nel quale dati strutturali e culturali interagiscono tra loro.
È questo il caso dell’Italia di fronte al cambiamento socio demografico in atto.
Saul Meghnagi, Consigliere UCEI