Il sindaco di Palermo,
Arafat e la pace

baldacciBene ha fatto l’UCEI a usare un linguaggio prudente definendo Yasser Arafat “un personaggio controverso” e “inopportuna” la decisione del Comune di Palermo di intitolare un tratto del lungomare al leader palestinese. Ha fatto bene a usare un linguaggio prudente per le responsabilità che gravano sull’organizzazione che rappresenta gli ebrei italiani.
Ma alla stessa prudenza non è tenuto il privato cittadino che, di fronte all’incredibile decisione del sindaco Leoluca Orlando, ha la possibilità e anche il dovere di parlare chiaro. E allora si deve dire che Arafat non è stato solo il capo di un’organizzazione terroristica ma che su di lui grava l’enorme responsabilità di aver distrutto ogni speranza di pace e di fine del conflitto israelo-palestinese. Fu lui a far fallire i colloqui di Camp David dell’estate del 2000 e di quelli successivi di Taba, quando la pace era a portata di mano, come alcuni leaders palestinesi hanno in seguito ammesso. La sua scelta di far fallire il negoziato getta una diversa luce anche sugli accordi di Oslo del 1993 che, sulla base degli eventi successivi, appaiono solo una mossa tattica di una dirigenza in difficoltà per guadagnare tempo e per assicurarsi una base territoriale da cui riprendere la lotta.
Ma se su Arafat ricade la responsabilità del fallimento della possibilità di un accordo di pace e quella della morte di tanti cittadini israeliani e palestinesi, questi ultimi gettati allo sbaraglio per mantenere aperto il conflitto, una responsabilità altrettanto pesante grava anche su coloro che – in Italia e più in generale in Occidente – fanno credere alla leadership e alla popolazione palestinese di avere un appoggio tale da consentire loro di non ricercare la pace e di continuare a perseguire i loro obiettivi con la violenza.
Sono gravi le responsabilità di Sindaci come Leoluca Olando e come il suo omologo napoletano Luigi De Magistris, come lo sono quelle di altri rappresentanti delle istituzioni che contribuiscono con il loro comportamento a rafforzare nella leadership palestinese la convinzione che la lotta armata è il solo strumento per conseguire i propri obiettivi. Come grave è la responsabilità di tutte quelle organizzazioni (associazioni propal, centri sociali ecc.) che contribuiscono anch’essi a creare nella leadership palestinese l’illusione di un sostegno che in realtà riguarda solo alcune frange estremiste del quadro politico italiano. Lo stesso discorso si può fare per quelle organizzazioni internazionali – dall’ONU all’Unione Europea – che – dietro lo schermo degli aiuti umanitari – continuano a sostenere e a finanziare le organizzazioni palestinesi.
Se la leadership palestinese fosse messa davanti alla realtà dei fatti, e cioè che il sostegno alla loro politica viene soltanto da Paesi come l’Iran e dai suoi satelliti, mentre gli altri Paesi arabi moderati li hanno da tempo abbandonati, avrebbe da tempo accettato di sedere seriamente al tavolo della pace, risparmiando al proprio popolo, oltre che a quello israeliano, tante sofferenze.

Valentino Baldacci