Piano inclinato

david soraniUna sensazione strana, sgradevole e pesante, si sta in questi mesi impossessando di me. Come tutte le sensazioni, essa è in parte irrazionale e del tutto personale e in parte generata razionalmente da situazioni reali e progressive. È l’impressione angosciante che il nostro mondo sia inesorabilmente avviato su un piano inclinato che ci imprigiona e che a poco a poco ci conduce di nuovo verso il rifiuto e verso l’esclusione. Il piano inclinato si chiama antisemitismo e la società attuale ha ripreso a percorrerlo, nonostante le tante opposizioni, i molti sentiti distinguo, le variegate forme del suo manifestarsi. Bisogna evitare che questo incubo vivente si svolga sino alla fine; bisogna rifiutare la logica fatalista secondo la quale in determinate condizioni di crisi (economica, politica, sociale, morale) la storia è destinata a ripetersi attraverso i suoi meccanismi negativi.
E’ però sempre più difficile farlo con precisi argomenti, quando razzismo e antisemitismo – minacce tra loro differenti eppure convergenti – crescono palesemente di fronte a noi negli ambienti e negli ambiti culturali più diversi. Non indica forse il superamento di una nuova soglia – un metro più in basso sul piano inclinato – il fatto che un vasto settore del Senato della Repubblica, l’intero orientamento politico di centrodestra, abbia con l’astensione espresso il suo netto rifiuto alla proposta di una Commissione parlamentare per combattere a vari livelli l’intolleranza e la violenza oggi sempre più diffuse e abbia ritenuto lecito, forse persino giusto, rimanere seduto insensibile di fronte alla memoria della Shoah, rappresentata da una persona gentile, razionale, inflessibilmente al di sopra delle parti come la senatrice Liliana Segre? E non è indice di una deriva antisemita denunciare come illiberale un sensato tentativo di porre limiti al delirio di violenza verbale che circola in rete? E’ in nome di questo falso concetto di “libertà” che Matteo Salvini ha rivendicato l’opposizione del centrodestra alla Commissione. Andando oltre la dimensione di istituzioni che faticano sempre più a dare un senso etico e civile al loro ruolo, se scendiamo nel tessuto sociale concreto delle giovani generazioni, non rappresenta forse un segno dei tempi, uno sdoganamento di odio pubblico a buon mercato la trasformazione della Shoah e del rifiuto verso l’altro in una sorta di videogioco macabro per ragazzini in cerca di sensazioni proibite? Che dire poi delle crescenti, ormai quotidiane manifestazioni di razzismo che accompagnano il fenomeno dell’immigrazione? E dell’incremento palpabile – populista e sovranista insieme – dei movimenti di destra radicale, spesso apertamente fascisti e antisemiti? Sono altri tratti, brevi ma tangibili, sul piano inclinato del nostro incubo.
Ma anche chi si scaglia contro Israele in quanto tale e contro tutto ciò che sa di israeliano, anche chi vede nel sionismo un mostro della storia e non un legittimo movimento politico-culturale di liberazione nazionale fa in realtà opera effettiva di antisemitismo: e pure tale settore è oggi in crescita evidente. BDS e movimenti islamisti ne rappresentano il settore più convinto. L’odio antiebraico si manifesta qui a livello politico collettivo, prendendo a bersaglio l’autodeterminazione nazionale del popolo ebraico. Accade così che il termine “sionista” non serva più a indicare un indirizzo politico teso a garantire i legittimi diritti dello Stato di Israele, ma divenga di fatto una terribile offesa equivalente a “imperialista” e a “razzista”. Che la risoluzione ONU colpevole di equiparare il sionismo al razzismo sia stata ufficialmente cancellata conta piuttosto poco, nell’immagine prevalente oggi. E anche oltre i circoli più implicati nella lotta di immagine contro Israele, anche nel linguaggio comune, “sionista” suona comunque come una brutta parola; essere antisionisti, invece, è speso recepito come un segno di visione progressista, celando la faccia oscura dell’intolleranza antisemita nascosta nel termine. La nostra discesa sul piano inclinato del rifiuto, dunque, continua purtroppo sull’opposta sponda politica.
L’inesorabile incedere verso il basso, però, pare proprio essere una illusoria sensazione mia e forse di pochi altri, perché l’opinione pubblica non sembra allarmata da questa tendenza. Regna anzi, rispetto alla questione antisemitismo, la più sovrana indifferenza, mascherata da banali e generiche condanne davanti agli episodi più allarmanti. E’ quella stessa indifferenza che Liliana Segre denuncia come l’atteggiamento più diffuso tra la gente, davanti alla marea montante del 1938 e degli anni seguenti. Ed è proprio questa indifferenza, questo non voler scorgere la pericolosità generale di un fenomeno radicato e lentamente riemergente a suonare come un assordante silenzio; è proprio l’incosciente tranquillità collettiva a fare da inquietante colonna sonora all’incubo del piano inclinato.
Cosa può dunque salvarci, di fronte a un così preoccupante accumularsi di sintomi, dalla logica negativa di un inevitabile ritorno ai drammi del passato?
Forse solamente la lezione che ci viene da Marc Bloch e dalla sua Apologia della storia. Il grande medievalista ebreo francese percepiva e insegnava la bellezza della storia quale esperienza conoscitiva aperta in ogni direzione; e interpretava con rigore il suo ruolo di storico volto a cogliere non solo e non tanto le “continuità” quanto le “rotture”, convinto che a sviluppare il tessuto della realtà storica non fossero tanto le presunte e inevitabili eredità o coazioni a ripetere, quanto gli elementi nuovi capaci di interpretare il passato in modi diversi e aperti a sviluppi di rinnovamento. Questa idea certo lo guidò ad opporsi all’occupazione nazista e ad impegnarsi nella Resistenza, sino al momento tragico della fucilazione. La medesima idea di “rottura” e di differenza costruttiva può darci la chiave per leggere in modo meno univoco quanto ci sta accadendo intorno e fornirci la forza per uscire dall’ “incantesimo” fatalista del piano inclinato.
David Sorani

(5 novembre 2019)