“Dalle carte le vite”,
metamorfosi di amore
Studiare attentamente i documenti che attestano sequestri e confische dei beni degli ebrei italiani (beni gestiti dall’EGELI, amministrati in Piemonte dall’Istituto Bancario San Paolo e così confluiti nel suo Archivio Storico), ricostruire col loro aiuto le biografie, le parentele, i contesti familiari e sociali, gli ambienti di vita e le aspirazioni dolorosamente frustrate; andare insomma oltre la doverosa testimonianza storica della persecuzione architettata e realizzata dal fascismo, confermare ma superare la denuncia civile implicita nella semplice esposizione dei provvedimenti razzisti attraverso l’empatia generata dalla conoscenza delle vittime, delle loro vicende. Questo è il percorso progettato e realizzato dalla Fondazione 1563 per l’Arte e la Cultura della Compagnia di San Paolo insieme ad alcune classi e a insegnanti di varie scuole torinesi. Un progetto di vita contro la morte, di riscatto contro l’abiezione, di dignità contro l’emarginazione e la vergogna costruite dall’antisemitismo fascista. Il miglior modo possibile di fare memoria, potremmo dire, capace di guidare i giovani a prendere coscienza – attraverso un itinerario di studio storico – della lacerante realtà delle leggi razziste e dei loro pesanti, ramificati effetti sulla popolazione ebraica italiana; ma anche della variegata realtà dell’ebraismo italiano, della sua vitalità, della sua attiva partecipazione alla società italiana degli anni Trenta.
Se ne è parlato a fondo il 5 novembre scorso a Torino, presso l’Archivio Storico della Compagnia, durante una intensa mattinata di presentazioni e approfondimenti realizzata a cura della sua agguerrita équipe di ricercatori/formatori. A monte di un percorso didattico composito e ricco di implicazioni formative (fra l’altro l’analisi dei documenti e il loro impiego nella ricerca storica, la ricostruzione di storie familiari all’interno della Storia politica e sociale del regime, l’impiego delle moderne tecnologie informatiche nello studio delle fonti e nella loro archiviazione), sta innanzitutto la mostra Le case e le cose realizzata lo scorso anno dall’Archivio nel quadro delle varie iniziative cittadine nell’80° delle leggi razziali, che già aveva intrapreso la strada della ricomposizione dei frammenti documentari nel quadro unitario delle biografie individuali e familiari. Ancora alle spalle, il fondamentale volume dallo stesso titolo curato da Fabio Levi (Le case e le cose. La persecuzione degli ebrei torinesi nelle carte dell’EGELI 1938-1945, Zamorani, Torino 1998) che raccoglieva anche scritti di D. Adorni e di G. Genovese e che aveva iniziato l’esplorazione di quelle carte col duplice fine della documentazione storica d’assieme e della raccolta di informazioni in vista della restituzione dei beni.
Grande merito di un progetto scolastico che per primo ha messo al centro dei suoi interessi le vicende individuali e familiari dei perseguitati è ora quello di aver raccolto e organizzato sistematicamente tante storie diverse in unico grande repertorio, un portale web di rara suggestione che permette a tutti i visitatori, grazie ai documenti e alle numerose fotografie tratte dagli album di famiglia, di entrare in sintonia con i protagonisti, di ricostruire ambienti e situazioni della loro vita, di cogliere il valore materiale e talvolta anche solo affettivo degli oggetti impietosamente sottratti ai legittimi proprietari, di sondare visivamente la lacerazione prodotta a vari livelli dalle leggi razziali.
Tra le varie vicende che compongono questo quadro, l’incontro all’Archivio della Fondazione 1563 ha fatto emergere quella per molti aspetti unica (anche se ogni storia è in fondo “unica”) dell’avv. Remo Jona, narrata con discrezione e lucidità storica dagli ex-allievi dell’Istituto Russell-Moro- Guarini che con la guida della professoressa Antonella Filippi l’hanno sapientemente ricostruita anche attraverso documenti rari, provenienti dall’Archivio di Auschwitz e dalle carte familiari di Primo Levi. E’ la sconvolgente storia di un uomo benestante depredato di tutti i suoi possedimenti, deportato con moglie e figli da Issime in Val d’Aosta, compagno di prigionia di Primo Levi ad Auschwitz III-Monowitz, unico superstite della sua famiglia; un uomo segnato da un dolore incancellabile, che al suo ritorno ha lottato per avere un parziale risarcimento, trovando la morte in un incidente stradale, investito da una motocicletta a Lanzo Torinese nel 1954.
In tempi amari come quelli che stiamo vivendo, quando pensieri parole atti di antisemitismo si moltiplicano in un crescendo allarmante e sono accompagnati da rivendicazioni violente e orgogliose (l’orgoglio dell’inciviltà), iniziative come quella della Fondazione 1563 – volte all’approfondimento della documentazione e insieme allo sviluppo della didattica della Storia e della formazione civile – sono come una boccata di ossigeno, un segno di intelligenza che può far sperare in una possibile inversione di tendenza, o almeno in una interruzione del piano inclinato sul quale siamo da qualche tempo avviati.
David Sorani
(12 novembre 2019)