Periscopio – Psicostoria europea

lucreziAnche quest’anno, il consueto congresso della Federazione delle Associazioni di amicizia Italia-Israele – svoltosi al Centro Pitigliani di Roma domenica scorsa, dieci novembre – ha rappresentato una proficua e stimolante occasione di incontro e confronto tra le tante realtà associative che, in tutta Italia, si impegnano a difesa dei valori del sionismo e della democrazia, e contro ogni forma di razzismo, antisemitismo, intolleranza, asserzionismo (come io chiamo il cd. negazionismo). L’ottima riuscita del convegno è stata motivo di grande soddisfazione, e di ciò va dato merito al Presidente delle Federazione, Giuseppe Crimaldi, al Consiglio Direttivo e a tutti i soci e simpatizzanti che, affrontando anche sacrifici personali, si sono prodigati per il felice esito dell’iniziativa. Tra i tanti illustri ospiti, che non è possibile menzionare tutti individualmente, ci sia consentito di segnalare unicamente, in quanto particolarmente significativa e apprezzata, la presenza delle Presidenti dell’UCEI e della Comunità Ebraica di Roma, Noemi Di Segni e Ruth Dureghello.
Il numero “tondo” del congresso (il trentesimo) ha sollecitato, comprensibilmente, riflessioni sul cammino fatto, sui risultati raggiunti e su quelli ancora da perseguire: e credo che un sentimento comune sia stata la rinnovata convinzione dell’importanza di un impegno che, in questi tempi bui – di fronte alle nubi nere che offuscano i nostri cieli -, non concede pause o defezioni. Mai come oggi appare evidente, infatti, che i nemici da combattere sono molteplici, e tutti ugualmente pericolosi. Anche se, forse, è uno solo, con tante maschere diverse.
Tra i vari interventi ascoltati, di particolare interesse ho trovato quello pronunciato dal nuovo Ambasciatore d’Israele, Dror Eydar, dedicato ai difficili rapporti tra l’Europa cristiana, da una parte, e, dall’altra, il mondo ebraico e, segnatamente, lo Stato d’Israele. Nell’impossibilità di sintetizzare i contenuti di un intervento di particolare ampiezza e profondità, ricordo solo una frase dell’Ambasciatore, una sua domanda e un suo tentativo di risposta. La frase è la definizione dantesca del lungo esilio del popolo ebraico quale traversata di una “selva oscura”: espressione molto icastica e suggestiva, che ben rende tanto la secolare, plumbea e velenosa giudeofobia dell’Europa cristiana, quanto la capacità del popolo ebraico di resistere, di andare avanti, attraversando la selva.
Quali le origini di tale obnubilamento collettivo, di tanto odio, tanta cieca stupidità e ignoranza? La risposta, secondo l’Ambasciatore, non va cercata sul terreno della storia, ove è impossibile trovarla, ma sul piano di quella che Eydar chiama “psicostoria”, ossia la storia dell’umana irrazionalità, delle pulsioni sotterranee, oscure e nascoste dell’animo umano e della coscienza dei popoli. Perché gli ebrei sono stati sempre emarginati e perseguitati? E perché la riacquistata sovranità nazionale del popolo ebraico nella sua terra ha suscitato scandalo, avversione, fastidio? La risposta a entrambe le domande andrebbe cercata, appunto, sul piano della psico-storia. Il cristianesimo si è sintetizzato, per duemila anni, nell’immagine di un ebreo crocifisso, che dopo tre giorni risorge e ascende al cielo. Quest’idea, interiorizzata in decine di generazioni, appare difficilmente conciliabile con l’immagine di un intero popolo, umiliato e crocifisso, che trova la sua resurrezione non per intervento divino, né per aiuto altrui, ma esclusivamente grazie alle proprie forze.
Questa realtà – aggiungo io – non può, inoltre, non sollecitare il sentimento negativo più diffuso nel genere umano, ossia l’invidia, sorella gemella, o figlia, della frustrazione. Per chi, per secoli, si è crogiolato in una fatalistica attesa di tempi migliori, accusando solo il destino avverso delle proprie disgrazie, vedere con i propri occhi che un pugno di profughi e apolidi, scampati alla distruzione, vestiti di stracci e senza un soldo, armati soltanto di coraggio, fede e buona volontà, riescono a prendere in mano la propria esistenza, a costruire da soli una vita diversa, è qualcosa che, comprensibilmente, genera rancore, malanimo, livore, rabbia. Perché loro sì e noi no?
L’Europa cristiana e, accanto a essa, tutto il vasto mondo degli accidiosi e dei lamentosi – e anche questa è un’osservazione mia, non di Eydar – dovrebbero perciò anch’essi uscire dalla “selva oscura”, sciogliere la loro “psicostoria”, capire cosa c’è che non va nelle pieghe recondite del loro inconscio.
Speriamo che la seduta psicoanalitica, se ci sarà, abbia un esito positivo e, possibilmente, duri meno di altri duemila anni.

Francesco Lucrezi, storico