Controvento – La via dei topi

Viviana KasamHo assistito venerdì, nell’ambito della Fiera della Piccola e Media Editoria alla Nuvola di Roma, alla presentazione del libro “La via dei topi: sulle tracce dei nazisti in Argentina” scritto dall’Ambasciatore Emilio Barbarani con la curatela di Benedetta Cascella (Ianieri Edizioni).
Il libro, un romanzo storico che non ha la pretesa di essere un saggio, racconta l’esperienza di Barbarani come console generale in Argentina nel 1973-74, nel breve periodo di ritorno al potere di Peròn, prima della brutale dittatura instaurata dai militari nel 1976. Barbarani nel 1974 fu inviato dal governo italiano a Santiago, allora sotto la dittatura di Pinochet, e quell’esperienza l’ha raccontata nel libro “Chi ha ucciso Lumi Videla?”, che gli è valso il premio Salvador Allende, il premio Flaiano, e anche il titolo di Giusto, conferitogli dall’Associazione Gariwo.
Pochi conoscono meglio di lui la situazione politica dell’America latina in quegli anni, anche perché la sua familiarità con la lingua e gli usi e costumi locali (ha passato l’infanzia in Argentina, figlio di genitori emigrati nella zona del Rio Colorado -storia che ha narrato in “Adiòs Pampa querida”) e il suo occhio di diplomatico non schierato, ma in contatto con i servizi segreti, i rappresentanti istituzionali, la popolazione, la Chiesa, gli ha consentito di formarsi un giudizio storico originale, aldilà della facile retorica politica. “La via dei topi” verte su uno dei grandi interrogativi del dopoguerra: la presenza di alti gerarchi nazisti in Argentina e in Cile, e la loro ricerca da parte dei servizi internazionali, anche di quelli italiani. Una vicenda avvincente, che si snoda fra Buenos Aires e la cordigliera delle Ande, dove le impervie vie dei contrabbadieri, le vie dei topi, appunto, venivano utilizzate per mettere in salvo i criminali nazisti, i loro tesori e anche gli arsenali bellici (i famosi contenitori gialli con la scritta 235, sbarcati in Patagonia e inoltrati verso il Cile, che si sospetta contenessero materiali per fabbricare la bomba atomica) con la complicità di simpatizzanti nazisti argentini, di Pinochet, che si circondava di criminali del Reich, di autorità, persino di alcuni settori della Chiesa cattolica.
Colonia Dignidad, paradossale nome per un covo di nazisti emigrati in Cile dopo la rovina del Terzo Reich (ci soggiornò anche Mengele) e infame luogo di tortura utilizzato dalla DINA sotto Pinochet, era il rifugio ricercato dai cacciatori di criminali nazifascisti, identificato solo attraverso alcune coordinate geografiche, alle quali mancava però una chiave di lettura. Il romanzo, costruito come un giallo, tende proprio all’identificazione della famigerata colonia, dove Barbarani suggerisce tra le righe possa aver soggiornato perfino Hitler, che secondo alcuni sopravvisse nel bunker di Berlino e fu aiutato a fuggire in Sud America. Ovviamente questo tema ha monopolizzato il dibattito durante la presentazione. Secondo Barbarani, che “scommetterebbe” sulla presenza del Fuhrer in Argentina, mancano prove sicure della sua morte. Cita come fonte il libro “Grey wolf: the escape of Adolf Hitler” degli scrittori Gerrard Williams e Simon Dunstan, che ripropongono la teoria della fuga di Hitler e del suo soggiorno a Bariloche. Una ipotesi che è stata respinta dalla maggior parte degli storici come “spazzatura”, ma che piace agli amanti delle teorie cospirative, un po’ come la sopravvivenza della granduchessa Anastasia all’eccidio dei Romanov, oggetto del recente docufilm di Netflix: “The last Czars”. Non c’è dubbio che ipotizzare la sopravvivenza di Hitler sia una ottima trovata di marketing -di cui peraltro il libro, godibilissimo, non ha alcun bisogno, anche perché racconta altri interessanti aneddoti storici, questi sì di prima mano, come gli incontri con Gelli e le vicende di Juno Valerio Borghese e Giannettini. Sarebbe auspicabile che temi incandescenti come la fine del Fuhrer fossero discussi in ambiti diversi, tra storici preparati e con conoscenza di causa. Se no, il rischio è di aprire la strada a ipotesi assurde e pericolose, come è successo venerdì durante la presentazione, quando uno degli spettatori si è alzato per dire che sarebbe stato “un complotto internazionale di finanzieri giudei” a mettere in salvo Hitler, per coprire i loro sordidi traffici. Portando come “prova” il fatto che il Ministro delle Finanze di Hitler fino al 1939, Lutz Graf Schwerin von Krosigk sarebbe stato un ebreo!!! Purtroppo viviamo in un mondo in cui con la scusa della libertà di opinione si può accreditare qualsiasi strampalata teoria e qualsiasi imbecille antisemita è legittimato a dire la sua in pubblico e sui social. Quando ho tentato di chiedere al mio interlocutore da quali fonti provenisse la sua tesi, si è limitato a rispondermi con un sorrisetto “forse lei ha qualche nonna ebrea”. Gli ho risposto che non ho solo qualche nonna, ma anche padre, madre, sorelle e fratelli, tutti orgogliosamente ebrei -ma comincio a chiedermi fino a quando avremo la libertà di affermarlo in pubblico.

Viviana Kasam