Narrare la normalità

anna segre“Andiamo ad elezioni anticipate per la terza volta in meno di un anno: un record mondiale per un paese democratico!” ha dichiarato ieri in tono divertito lo scrittore israeliano Assaf Gavron presentando a Torino il suo ultimo romanzo Le 18 Frustate. Poi si è subito si è premurato di aggiungere: “Mi risulta che anche qui in Italia ci sia una situazione politica molto complicata.”
Più volte sia lo stesso Gavron sia Sarah Kaminski che lo presentava hanno evidenziato la tendenza della nuova generazione di scrittori israeliani a narrare vicende e trattare temi non necessariamente legati al conflitto israelo-palestinese. E – ha sottolineato Gavron – questo è un loro diritto. A una domanda dal pubblico sulla possibilità che la cultura aiuti la pace lo scrittore ha risposto mostrandosi poco ottimista pur riconoscendo che tutto in qualche modo può essere utile, così come peraltro possono essere utili molte iniziative, ad alcune delle quali lui stesso ha partecipato, non necessariamente legate alla letteratura: l’impegno non è un dovere specifico degli scrittori, e questi ultimi, che siano impegnati o meno, possono comunque scegliere (come infatti fanno spesso) di trattare temi universali, non legati specificamente alla realtà del loro paese.
Insomma, la normalità di Israele è stata ribadita in molti modi, il più efficace, dei quali, a mio parere è stata proprio la battuta sulle tre elezioni in meno di un anno: in questi tempi cosa c’è di meglio di una crisi politica complessa e prolungata per far capire che Israele è un paese come gli altri? E cosa c’è di meglio, per creare complicità con il pubblico, che ridere insieme ciascuno della propria classe politica?
A volte ho il sospetto che narrare le vicende complicate, paradossali, e anche i dettagli non proprio edificanti della politica israeliana sia in realtà la forma più raffinata e utile di hasbarà (propaganda/informazione a favore di Israele) che si possa immaginare. Da questo punto di vista non credo neppure che le accuse contro il premier (tema che peraltro Gavron non ha minimamente toccato, a mio parere giustamente perché in quel contesto non sarebbe stato opportuno) possano costituire un danno d’immagine per il paese: non è una prova di democrazia mostrare al mondo che in Israele nessuno è intoccabile?

Anna Segre