Stati Generali, l’intervento
della Presidente UCEI

Schermata 2019-12-15 alle 14.05.38Benvenuti a tutti e shavua tov.
Anzitutto un immenso grazie a tutti coloro che hanno faticato per la riuscita di questa giornata – staff, segretario generale, relatori, rabanim, consiglieri. Gli addetti alla nostra sicurezza.
Il raduno di oggi è un’occasione di serrato confronto e dibattito – che sia costruttivo, sperando che non siano solo parole e riflessioni ma anche parte del percorso sul quale proseguire ad operare – a livello nazionale e locale. Ricordo che oggi sono presenti ed invitati tutti i rappresentanti, consiglieri e presidenti delle comunità e delle istituzioni ebraiche e che l’evento è aperto alla partecipazione del pubblico e seguibile anche in streaming.
Rendiamo omaggio a chi in questo anno e questi ultimissimi giorni ci ha lasciato, a chi ha appena festeggiato gli anni o appena nato.
Non è intenzione nostra raccontare una storia rosa di tutti i progetti in corso, che sono moltissimi come avrete modo di cogliere nell’arco della giornata. Ci sono immensi sforzi dietro ad ogni progetto – umani, finanziari, professionali – ogni progetto è un investimento – ed è importante che sia conosciuto, confrontato, sinergizzato, migliorato o rinunciato. La vera domanda difficile è perché facciamo e come davvero misurare i benefici.
Abbiamo scelto il tema dell’educazione 0-120 nella convinzione che si educa e ci si forma ebrei al primo istante della nascita e non si finisce mai di apprendere. Sapere, sapere essere o sapere fare. L’obiettivo quindi nell’arco della giornata è di passare in rassegna i diversi anelli di questa lunga catena, ciascuno con i suoi destinatari e contenuti che nell’insieme fanno persone e fanno comunità.
La scelta è stata oggi per certi versi di guardare al nostro interno – un interno inteso come gruppo che ha un sua forte identità e identificazione:
Che nasce da sé per la storicità di comunità diasporica.
Che è riconosciuto come tale, sia socialmente sia legalmente dal contesto esterno.
Che ha le sue istituzioni governate da Intesa, statuto e regolamenti e prassi – di Unione, 21 comunità territoriali, fondazioni e associazioni dedite alla cura di una molteplicità di attività – sostegno sociale, cultura, studi, sostegno ad Israele, beni culturali.
È stata presa una decisione importante lo scorso luglio – quella di ribadire l’interpretazione dell’art. 1 dello statuto che qualifica come comunità ortodosse le comunità ebraiche italiane.
– Alla luce dei dubbi e dibattito sollevati sulla natura identitaria dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane;
– In considerazione della caratterizzazione religiosa della millenaria presenza ebraica in Italia, recepita nell’Intesa e nello Statuto dell’ebraismo italiano nella dizione “Comunità come formazioni sociali
originarie”;
– Sulla base anche delle diverse disposizioni di Statuto che riconoscono all’Assemblea rabbinica italiana, alla Consulta, ai rabbini capo specifiche competenze;
– Si riafferma che il richiamo, nell’Intesa (art 17) e nello Statuto (art 1), a “Legge e tradizione ebraiche”, è da riferirsi alla tradizione rabbinica halachica e talmudica, e conseguentemente colloca in maniera
inequivocabile le Comunità Ebraiche Italiane e l’UCEI nell’ambito dell’ebraismo ortodosso.
E la domanda è come preservare, come maturare e rafforzare la nostra identità ebraica, attraverso percorsi di formazione, educazione nelle diverse fasi della vita e anche per i diversi ruoli che ricopriamo all’interno delle nostre comunità – giovani, studenti, docenti, genitori, rabanim, madrichim.
Per crescere e affrontare le sfide demografiche.
Per crescere assieme e non in isolamento.
Per rafforzare il legame con Israele e partecipare lo stato di Israele in tutte le sue dimensioni – quelle della minaccia alla sua esistenza e al suo riconoscimento e quelle delle eccellenze e dello sviluppo
Per relazionarci con le istituzioni che governano questo paese (nazionale e locale) e saper fare una politica che valorizzi il contributo ebraico nella società italiana – come lo è stato per secoli. Che non sia una minoranza identificata solo con una dimensione religiosa, che non sia identificata solo con la Shoah e con i nostri sopravvissuti, che non sia solo un filtro per criticare Israele, che non sia strumento di dialettica partitica.
Per essere capaci, con competenza e lucidità di proporre emendamenti, bloccare decreti e impulsività legislativa che mettono in pericolo la libertà di culto (milot e macellazione), favorire un cambio netto sulle posizioni del governo italiano all’Onu e all’Unesco, risolvere dopo 80 e passa anni dalle leggi del ’38 aberranti interpretazioni sulla concessione delle benemerenze che disconosce la persecuzione per la richiesta di esibirne le prove.
Per essere credibili e riconosciuti per i valori che promuoviamo e quello che rappresentiamo ed accordarci una scelta anche in sede di preferenze di otto per mille.
Per affrontare la più faticosa sfida dei secoli – quella di combattere l’antisemitismo in tutte le sue manifestazioni – di estrema destra, del bds, quello che si annida ancora nella chiesa, dell’estremismo musulmano, del populismo e superficialità, tutti rafforzati con l’indifferenza e con la dimensione dei social digitali.
Per affrontare l’oblio, il negazionismo e il neo fascismo.
Per riconoscere chi è affianco a noi e condivide le nostre battaglie politiche, storiche e valoriali – sia singoli sia associazioni cui va dato il tributo di impegno e di responsabilità e sacrifici.
Per saper dialogare con chi pratica altre fedi e condivide con noi la sfida di disseminare bene nella società facendo ricorso a pratiche, valori ed esperienze che sono patrimonio delle religioni e che possono favorire cultura, sapere e fare sociale.
Per saper ragionare e raccordarci anche con chi esprime scelte di ebraismo non basato sull’ortodossia.
Quindi per capire come vivere e condurre le nostre comunità ed enti ebraici, e focalizzare il nostro ruolo all’interno e come parte di una società italiana ed europea.
Non siamo monolitici e non siamo uniformi, ma certamene dobbiamo essere uniti e coesi.
Perché accade che un post di Facebook o un tweet che inneggia a Hitler e nega la Shoah non solo è virale e ammirato, ma con disposizione di un gip si ordina di riattivare l’account.
E accade che c’è il pellegrinaggio alla mecca Predappio, cerimonie in città e cimiteri, inni e figurine tra tifosi del calcio, alunni che inneggiano al duce-luce.
E allora noi dobbiamo essere pienamente capaci di spiegare quel distinguo tra libertà di espressione del pensiero e istigazione all’odio con aggravanti, e le conseguenze di un odio dilagante che inizia con parole e il significato dei principi costituzionali da applicare con senso di cognizione e responsabilità.
Accade che il 27 gennaio tutti corrono a celebrare rituali e cerimonie per il Giorno della Memoria ma poi l’odio antisemita prosegue e dilaga, e allora noi dobbiamo essere capaci di affrontare una società che desidera anche con sincerità ricordare e celebrare ma che non è stata capace di includere la storia vissuta dall’Italia stessa nel percorso di studi come pietra miliare e non come unità didattica di fine scuola;
Accade che il 25 aprile le piazze non sono piene e la gente non sa questa data cosa rappresenta per la storia italiana – chi ci ha liberato e da quale tormento e devastazione – e diventa il giorno della liberazione di tutti. E allora noi dobbiamo essere capaci di partecipare a questa giornata assieme agli altri ed esigere che sia una giornata di festa dedicata alla liberazione dal nazi fascismo, al riconoscimento della brigata ebraica e non un palco per altre bandiere.
Accade che nelle università invece di didattica seria e rigorosa girano volantini e accreditano corsi che inneggiano alla distorsione e alla rivendicazione propalestinesi, senza contestualizzazione storica, o escludendo a priori ogni presenza di docenti e scrittori israeliani, e allora dobbiamo saper proporre un modo per arginare il doloroso e scioccante fenomeno di rovesciamento e attribuzione a Israele del comportamento nazista o “semplicemente” apartheid razzista.
Verità e falsità – o meglio falsità divenute verità e verità considerate nostre falsità sono il cuore delle nostre sfide e per affrontarle – serve un lavoro comune e capacità di interpretare il cambiamento italiano che esiste e lo viviamo in questi mesi, osservando movimenti che crescono – piazze che si riempiono con moti molto diversi tra loro.
Accade che alcuni esponenti ebraici firmano manifesti e appelli anche diffusi su Facebook esterni e stampa nazionali per chiedere all’UCEI e alla sua giunta o alla sua presidente di non fare politica, mentre loro o altri la praticano quotidianamente, e allora dobbiamo essere capaci di ribadire che l’UCEI e le comunità sono anche entità politiche perché sono soggetti che interagiscono con le istituzioni per le ragioni che ho già menzionato, e che l’appiattimento politico, le esimenti o le aggravanti su determinati leader e partiti è cosa ben diversa dai rapporti con chi guida le istituzioni.
Accade che nel desiderio di difendere un valore assoluto, una situazione o di esprimere un’immensa rabbia per un determinato episodio o esplicitazione di un soggetto x nella giornata y, ci si chiede di scrivere, denunciare, comunicare, esprimere sdegno – in altre parole rappresentare il pensiero delle comunità ebraiche – e allora dobbiamo essere in grado di discernere a agire con un criterio ragionevole – di dire la nostra in modo forte ed esserci, coordinarci se dirla a livello locale o nazionale, o non dire nulla perché rischiamo di essere sovraesposti e alla fine inascoltati o perché le responsabilità di denuncia se le devono prendere anche altre voci della società civile;
Accade che viene proposto di costruire o finanziare un museo ebraico o per la Shoah in una o più città, di restaurare importanti e unici al mondo beni culturali ebraici di assoluto valore storico, artistico e religioso, e allora dobbiamo trovare un percorso per procedere, per condividere queste scelte che generano impegni e investimenti di lungo periodo e che riguardano la storia e l’identità ebraica italiana e che sono anche parte della storia e della cultura italiana e responsabilità di chi l’ha governata nei secoli bui.
Accade che gli antichi cimiteri ebraici diventano decadenti, difficili da curare e mantenere con dignità e decoro, o per ragioni storiche e congiunturali diventano aree di nuovi progetti comunali, e allora occorre agire in modo concertato, tra istituzioni ebraiche locale e nazionale, con le istituzioni locali, agendo nel quadro delle norme religiose e dell’intesa, ma la sfida di mantenere e preservare questa memoria di chi ha vissuto tra noi nei secoli è onerosa e impegnativa.
Accade che su Facebook ebraici e delle nostre comunità vengono pubblicati post intrisi di parole offensive, deliranti della ragione di se e del torto altrui, di ripetute illazioni generiche senza circostanziare fatti e comportamenti ritenuti non condivisibili, giudicanti con superiorità saccente il fare o l’essere di altri correligionari e verso le nostre stesse istituzioni, senza davvero leggere le risposte ricevute perché l’obiettivo non era capire meglio o dialogare ma solo alzare il polverone della critica, letti da migliaia di persone che restano indifferenti, o da rabanim che non intervengono, e allora chiediamoci perché, chi siamo quando ci relazioniamo tra noi e se davvero siamo una luce per gli altri
Accade che su fb ho letto le parole di chi considera che siamo noi stessi responsabili dell’antisemitismo dilagante perché Liliana Segre, senatrice a vita, ha proposto di istituire una commissione sul tema dell’odio, gira infaticabile l’Italia per tenere viva la Memoria – quella di sei milioni di ebrei – e riesce a pronunciare in parole scritte che Liliana non sarebbe ebrea e la sua storia non degna di essere narrata. Noi davanti ad un sopravvissuto dobbiamo restare il religioso silenzio, o sapere ascoltare e fare tesoro di ogni parole e di ogni attimo che ancora ci dona con la sua esistenza faticosa e indescrivibile.
Accade che le persone si sposano, che nascono bambini nelle nostre comunità e le famiglie si trovano a dover e voler fare scelte di educazione ebraica per i loro figli, mettendo in una grande equazione impegni lavorativi, alti vincoli di famiglia, altre referenze socio ambientale e allora noi dobbiamo essere capaci di essere per loro un punto di riferimento e parte di questo percorso, rafforzando sostenendo, proponendo.
Accade – o meglio è accaduto – che la governance e gli uffici dell’Unione è cresciuta, è complessa e articolata in molti settori e livelli di operatività. E allora noi dobbiamo avere il coraggio di cambiare il pensiero organizzativo e riuscire a ragionare su modelli innovativi, che snelliscono e responsabilizzano l’espletamento di procedure e modalità decisionali.
Tutto questo accade, e molto altro, ed è per questo che un confronto sincero, coraggioso profondo deve essere fatto in questo, ma anche in altri contesti. L’agire il fare dipende da noi.
Un grazie a tutto il personale UCEI, al Segretario generale, gli assessori, i rabanim e i consiglieri dell’Unione. Per il vostro impegno quotidiano e il profondo credo in questa comune missione.
Vi ringrazio tutti per la vostra presenza e fattiva partecipazione alla giornata di oggi, al vostro fare raccordandovi con Ucei e all’attuazione di domani.

Noemi Di Segni, Presidente UCEI

(15 dicembre 2019)