Dreyfuss? A Berna mette i guanti da boxe
Si fa presto a dire Dreyfuss. E non era necessario attendere il recente, efficace, film di Roman Polanski per notare come il nome ricorra insistentemente quando si tratta di mettere in scena o persino di appropriarsi delle vicende del militare francese vittima del più clamoroso ed emblematico episodio di antisemitismo nell’Europa moderna. Ma chi sono, che cosa fanno oggi coloro che portano ancora orgogliosamente il nome del militare alsaziano che con la sua vicenda suscitò il “J’accuse” di Zola e risvegliò la passione sionista del giornalista Theodor Herzl?
Leader storico del movimento progressista svizzero, prima donna e prima ebrea alla presidenza della Confederazione, l’esponente socialista Ruth Dreyfuss (o Dreifuss, secondo la grafia ormai più comunemente utilizzata) continua la sua azione per i diritti civili e la giustizia, ma ha anche lasciato alle sue compagne di tante battaglie un’indicazione chiara sui valori da tutelare e sull’azione da compiere.
Al riparo dalle deportazioni nel piccolo territorio alpino assediato dalla furia nazista, l’esponente progressista ha contrassegnato tutte le battaglie del dopoguerra e dopo aver lasciato ad altre colleghe il ruolo di parlamentare ha assunto ruoli di punta nella struttura del ministero degli Esteri e dell’Organizzazione mondiale della sanità.
Una scuola politica rigorosa e coraggiosa che ha lasciato il segno e un’eredità raccolta da tante colleghe attente al valore della sua lezione. Per evitare ogni fraintendimento, e senza alcun timore di passare per indelicata, la sua collega Consigliera nazionale Margret Kiener-Nellen prima di scendere in piazza ha per esempio pensato di mettersi i guanti. Da boxe. Nel fiume di donne che hanno invaso la capitale elvetica per dare uno scossone al vecchio sistema di potere della Confederazione, l’esponente socialista al Parlamento di Berna, femminista radicale e avversaria implacabile di tutti i populismi, ha voluto portare il segno del cambiamento. E non solo per i diritti delle donne, a cominciare da quello delle pari opportunità e delle pari retribuzioni che anche nell’Europa più progredita resta ancora un miraggio. L’onda del cambiamento, in un mondo politico fortemente segnato negli ultimi anni dalla predominanza della destra populista, si è fatta sentire poco dopo.
All’indomani del voto, la composizione del Parlamento svizzero era marcatamente più giovane, più femminile e più progressista, mentre la destra xenofoba per la prima volta dopo molti anni segnava un declino. Nel Consiglio federale ormai le deputate svizzere occupano il 42 per cento dei seggi (una delle percentuali più alte al mondo) e il fronte progressista le vede decisamente in prima fila. I Verdi mandano a Berna 17 deputate e 11 deputati, i socialisti 25 donne e solo 14 uomini. Il quadro politico è profondamente rinnovato e di fronte xenofobo populista che aveva aperto la strada ad analoghi movimenti in molti paesi europei mostra adesso vistose crepe.
“Lo spostamento a sinistra è molto chiaro, non è mai stato tanto forte come oggi” ha spiegato all’agenzia SwissInfo Michael Hermann, direttore dell’istituto di ricerche Sotomo di Zurigo. “A livello internazionale, può sembrare uno spostamento minimo, ma per la Svizzera un tale movimento da un campo all’altro è molto significativo”.
Il panorama politico è infatti cambiato radicalmente in quattro anni: migrazione, terrorismo e insicurezza, temi che mobilitano l’elettorato di destra, hanno dominato il dibattito nel 2015. Oggi sono la tutela dell’ambiente e la parità dei diritti a dominare il dibattito. Questioni che preoccupano maggiormente l’elettorato progressista.
Guido Vitale, Pagine Ebraiche Dicembre 2019