Controvento – L’inizio della fine
C’è una data che segna l’inizio della fine della ricerca scientifica e tecnologica in Italia: il 1938. Con le leggi razziali, furono in un sol giorno epurati 96 docenti ebrei, moltissimi dei quali scienziati , fisici, biologi, matematici. Basti pensare al gruppo torinese di Giuseppe Levi, con il quale lavoravano tre futuri premi Nobel: Rita Levi Montalcini, Salvador Luria e Renato Dulbecco, o all’economista Franco Modigliani, altro premio Nobel, tutti costretti a sospendere le loro ricerche in terra natia per poi riprenderle negli Stati Uniti. Del loro lavoro, che vide la luce in Italia, beneficiò l’economia americana.
Ma il danno più grave per la ricerca italiana fu lo smembramento del gruppo dei “ragazzi di Via Panisperna”, brillanti fisici nucleari, così definiti per la loro giovane età. Nel 1934 avevano scoperto la proprietà dei neutroni lenti, che diede avvio alla realizzazione del primo reattore nucleare. E che fu alla base delle ricerche per la bomba atomica. Facevano gola ai centri di ricerca di tutto il mondo, e invece il fascismo non solo non investì su di loro, ma li mise in condizione di lasciare l’Italia. Enrico Fermi, che aveva la moglie ebrea, se ne andò in America nel 1938, subito dopo l’assegnazione del Premio Nobel per i suoi esperimenti di fissione nucleare. Emilio Segrè, colpito dalle leggi razziali, si trasferì a Berkeley nel 1938, dal ’43 al ’46 lavorò al Los Alamos National Laboratory per il Manhattan Project, dove fu sviluppata la bomba atomica. Nel 1959 gli fu assegnato il Premio Nobel per la Fisica. Bruno Pontecorvo esagerava: non solo era ebreo, ma anche comunista. Si trasferì a Parigi nel 1934 e poi, quando l’armata tedesca invase la capitale francese, con suo fratello Gillo, suo cugino Emilio Sereni e Salvador Luria, scappò in bicicletta dalla capitale e finì per trasferirsi prima in Oklahoma, poi raggiunse Fermi al Manhattan Project, e infine nel 1950 scelse di vivere in Unione Sovietica. Erano gli anni della guerra fredda, e i russi ambivano a sviluppare la bomba atomica per contrastare la crescente potenza americana. Anche per Ettore Majorana si ipotizzò la defezione verso l’Unione Sovietica -ma la pista del suicidio e quella del rapimento rimangono tuttora aperte. Insomma in quegli anni lavoravano in Italia sei futuri premi Nobel e una dozzina di scienziati di altrettanto valore, e tutti furono costretti alla fuga, con una perdita incalcolabile per il Paese, non solo di cultura e di prestigio, ma anche economica. Con il senno di poi, fu un bene che la ricerca sulla bomba atomica lasciasse l’Italia e non finisse nelle mani dei fascisti e dei nazisti loro alleati, ma è peraltro vero che quelle ricerche avrebbero aperto la strada alle più importanti tecnologie di oggi, partite in campo militare, ma che hanno trovato applicazioni nei settori della comunicazione, della medicina, dell’energia.
Queste considerazioni mi sono suggerite da un breve articolo che mi ha inviato un giovane ingegnere fisico, Sergio Allegri, laureato al Politecnico Torino. Sergio, prima di trasferirsi a Losanna per un dottorato all’École polytechnique fédérale de Lausanne, aveva passato due anni come ricercatore alla Columbia University, negli stessi edifici in cui lavorarono alcuni dei “ragazzi” di via Panisperna. Esposta nell’atrio della università newyorchese, aveva letto la lettera indirizzata da Fermi alla vigilia del suo esilio a George B. Pegram, il fisico americano che lo aveva invitato a collaborare con il Manhattan Project, il più importante e segreto gruppo di ricerca dell’epoca. La lettera poi fu rimossa per lavori di ristrutturazione, ma Sergio, con meticoloso lavoro da detective, è riuscito a ritrovarla e me l’ha inviata. Scrive Allegri:
“Il 13 Dicembre 1938 da una stanza del Grand Hotel di Stoccolma, Enrico Fermi scriveva a George B. Pegram, preside della facoltà di Fisica alla Columbia University di New York, per ringraziarlo degli sforzi fatti al fine di far ottenere a lui e alla sua famiglia il permesso di soggiorno (“I thank you for all the trouble that you have taken for my visa”). In questa lettera, Fermi gli annunciava il suo arrivo a New York, previsto per il 2 Gennaio, a bordo della nave Franconia. Inoltre, chiedeva di non fare annunci pubblici del suo arrivo perché si trovava in una posizione difficile e il 1938 era un anno particolare.
Il 1938 era l’anno della promulgazione delle leggi razziali in Italia.
Il 1938 era l’anno in cui ad Enrico Fermi fu consegnato il premio Nobel per i suoi studi di fisica nucleare.
Il 1938 era anche l’anno in cui Fermi, sposato con Laura Capon, ebrea, decise di lasciare l’Italia per non farvi più ritorno: di lasciare l’Italia “for good”, scriveva nella lettera, espressione che possiamo tradurre con “una volta per tutte” o, più semplicemente, con “per sempre”.
La promulgazione delle leggi razziali non fu la sola ragione a convincere Fermi e famiglia a lasciare l’Italia. Giocarono un ruolo fondamentale anche i limitati fondi di cui disponeva per le sue ricerche. Il regime preferiva investire le risorse economiche del Paese in maniera diversa: nella lista delle priorità c’erano una guerra da combattere e una terribile persecuzione da mettere in atto.
Fermi partì e con lui se ne andò una generazione di scienziati unica per il nostro Paese, i ragazzi di via Panisperna: Edoardo Amaldi, Oscar D’Agostino, Bruno Pontecorvo, Franco Rasetti ed Emilio Segrè. Molti di loro seguirono l’esempio di Fermi e partirono per gli USA, dove contribuirono in maniera considerevole allo sviluppo scientifico, tecnologico ed economico di un Paese che seppe accoglierli con il rispetto che meritavano.
Durante il mio anno alla Columbia, fui fortunato ad imbattermi in questa lettera, esposta in un angolino del palazzo in cui Fermi realizzò alcuni dei suoi più importanti esperimenti sulla pila atomica.
Ho faticato non poco per ritrovarla e voglio condividerla perché è un pezzo di storia che merita di essere ricordato; perché un Paese che non investe in ricerca ed istruzione non solo si ritrova ad inseguire nella corsa al progresso, ma rischia di perdere i suoi giocatori migliori e di impoverirsi culturalmente ed economicamente; perché gli effetti di una politica che esclude e non include, che odia e non accoglie, lasciano segni su molte generazioni a seguire.
Gli insegnamenti che la Storia ci fornisce sono preziosi. Usiamoli per essere delle donne e degli uomini migliori.”
Grazie Sergio di questa testimonianza, che mi sembra oggi di terribile attualità. Una parte cospicua della classe politica italiana, e dei cittadini che la votano, dà la precedenza al problema dell’immigrazione, che potrebbe invece, se regolato e controllato, costituire un’importante risorsa nel nostro Paese dove non nascono più figli. E non si occupa invece della fuga dei cervelli, che potrebbe essere arginata con investimenti sulla ricerca e sostegno a chi la persegue. La ricerca scientifica e più in generale la cultura, cenerentole fra le priorità del Paese, sono invece l’investimento più importante per dare lustro e ricchezza, come hanno capito India e Cina e perfino l’Arabia Saudita che, dal nulla, hanno creato centri avveniristici dove vengono coltivati i talenti locali e attirati i migliori scienziati da tutto il mondo. Tra i quali figurano moltissimi italiani, che sono contesi dalle Università più prestigiose e il cui lavoro dà lustro ai centri di ricerca e all’economia dei Paesi che li hanno saputi valorizzare.
Viviana Kasam