Controvento – L’intelligenza dei gatti

Viviana KasamProbabilmente non mi sarei soffermata a leggere l’articolo del New York Times sul rapporto tra gatti e umani se recentemente non fossi stata adottata da un gatto, anzi da una adorabile e pestifera gattina color champagne, che una notte mi seguì fino a casa – aveva forse 5/6 settimane di vita e imploranti occhioni azzurri – si accoccolò davanti al portone e, mentre estraevo le chiavi, mi dette una affettuosa zampata sul polpaccio, come a dire: “Guarda che ci sono anch’io”. Potevo resistere?
Non avrei mai immaginato di diventare la proprietaria di un gatto – anche se proprietaria è la parola sbagliata: sono loro a possedere noi. Pensavo fossero animali decorativi, egoisti e indifferenti: il compagno dell’uomo è il cane, non il gatto.
Quattro mesi di convivenza mi hanno fatto completamente ricredere e innamorare perdutamente (un amico mi ha mandato una vignetta di Linus: “Alcune donne cercano ancora l’amore, altre hanno già trovato un gatto” –da incorniciare).
I gatti sono socievoli, adorano giocare con noi umani – la mia ingaggia partite di calcio, fa imboscate, si nascondersi e poi schizza fuori per spaventarmi – e come i bambini tira la corda della mia pazienza finché non sta per spezzarsi, e poi mi si rannicchia addosso e fa le fusa. Non ho mai visto nessuno, né animale né umano, con una tale voglia di divertirsi e una tale capacità di intrattenersi. Un tappo, un fiore, un pezzo di carta stagnola bastano a tenerla felice e occupata per ore. Sprizza gioia di vivere, ed è contagiosa.
La premessa serve a introdurre, come preannunciato, un lungo articolo apparso sulle pagine scientifiche del New York Times qualche tempo fa, che illustra recenti studi sul cervello dei gatti, basati su ricerche condotte presso l’Università dell’Oregon da Krysten Vitale, una biologa che studia il comportamento animale. Innanzitutto, bisogna sfatare il mito che i gatti non si affezionano. È vero il contrario. Non solo si legano a noi umani, ma sono anche capaci di riconoscere le nostre emozioni e di mutare il loro comportamento a seconda di quanta attenzione ricevono (ovvero, se il vostro gatto è indifferente, è solo perché non comunicate abbastanza con lui). Per verificarlo, la dottoressa Vitale ha condotto su 79 micini e 38 gatti adulti un test che viene utilizzato per misurare la capacità di bonding dei cani ma anche dei bebè. Il test consiste nel far entrare l’animale e il suo proprietario in una stanza sconosciuta – situazione considerata stressante. Dopo un paio di minuti l’umano adulto se ne va e l’animale viene lasciato solo. Al rientro del proprietario, due terzi dei gatti esaminati correvano a salutare il padrone, poi, rassicurati, tornavano alla loro occupazione. Questo test è stato messo a punto per capire se in una situazione non familiare l’umano l’adulto rappresenti una fonte di rassicurazione. Il fatto che l’animale non rimanga attaccato al padrone, ma torni rapidamente alla sua occupazione, è un segnale importante: non indica indifferenza, ma al contrario dimostra che il gattino si sente rassicurato alla vista del padrone e quindi può tornare a fare ciò che gli piace. Esattamente come succede con i bambini, che danno risposte percentualmente simili nello stesso test.
Come i bambini i gatti possono essere educati, imparare a rispondere al richiamo, a non mordere e non graffiare (sono felini, il loro istinto è predatorio). Come? Secondo Laura Borromeo, comportamentalista, autrice con Maria di Cristina Crosta di “Rendere felice il nostro gatto” una summa di consigli illustrata per convivere con il proprio micio, l’importante è assecondarne l’istinto predatorio. E se non ci sono topi, lucertole e farfalle a portata di mano, e alberi su cui arrampicarsi, basta sostituirli con semplici giochi, che si possono anche realizzare in fai-da-te.
“Si pensa che i gatti siano autonomi e autosufficienti, e non comportino nessun impegno per il proprietario, a differenza dei cani” spiega Laura. “Ma se il gatto è chiuso in un appartamento, si annoia e innervosisce. È perciò necessario, almeno cinque minuti cinque volte al giorno, giocare con lui, farlo predare, saltare, correre, arrampicarsi. Ovvero, vivere da gatto.”
I gatti hanno un cervello molto simile al nostro, diviso in molte aree dedicate a compiti specializzati. Queste aree sono, come le nostre, estremamente interconnesse e funzionano in rete, con snodi e possibilità di percorsi alternativi. Hanno una corteccia cerebrale molto sviluppata (quella che serve a controllare gli impulsi e a elaborare strategie) e sono dotati di una ottima memoria visuale di riconoscimento, ovvero della capacità di codificare le informazioni visive nella memoria a lungo termine. Che pare arrivi addirittura a 10 anni. Ovvero, i gatti non dimenticano nulla. Altri studi suggeriscono addirittura che siano capaci di sognare….
Credo sia comunque consolante per tutti noi, padroni di felini, anche se neofiti come la sottoscritta, vedere confermata la propria esperienza: ovvero che i gatti sono geniali e si affezionano. E concludo con le parole che un grande e famoso gattaro, Gino Paoli, mi regalò alla fine di una intervista: “Ogni volta che desideri fare qualcosa, guardati intorno: di sicuro vedrai un gatto che già la sta facendo”.

Viviana Kasam

(30 dicembre 2019)