Un passato che non deve tornare

Gentile signora Maraini,
abbiamo letto con sorpresa, delusione e preoccupazione il suo articolo sul Corriere della Sera del 24 dicembre: sorpresa, per l’incredibile leggerezza con cui ha riportato, come se fossero dati certi, una serie imbarazzante di stereotipi; delusione, per come una scrittrice, che abbiamo apprezzato e ammirato in altre occasioni, anche per il suo impegno civile, abbia potuto farsi portavoce di posizioni che pensavamo ormai patrimonio residuale di ambienti nostalgici di un certo cattolicesimo preconciliare; preoccupazione, per le conseguenze che può avere il messaggio scritto da un’autorevole intellettuale, pubblicato sul più importante quotidiano nazionale. Sorpresa, delusione e preoccupazione ulteriormente rafforzate dalla sua replica alle reazioni provenienti dal mondo ebraico (e purtroppo non da quello cattolico), con cui chiede rispetto per le sofferenze patite nella sua infanzia, come se fossero un lasciapassare per potersi esprimere con leggerezza su questioni dolorose.
Non è nostra intenzione accusarla di antisemitismo, piuttosto vorremmo cercare di spiegarle in modo pacato alcune vicende storiche di cui sembra essere totalmente ignara.
La contrapposizione fra l’insegnamento di Gesù e la dottrina dell’Antico Testamento, sviluppatasi in alcuni casi nei primi secoli di diffusione del Cristianesimo, in particolare con le teorie di Marcione, venne superata con la condanna da parte della Chiesa del marcionismo, dichiarato eretico. Si tratta, tuttavia, di un contrasto che ha continuato a venire utilizzato in chiave antigiudaica per tanti secoli, anche se non trova riscontro nei Vangeli, dove vengono citati brani interi della Torà; si veda il testo di Marco, 12 («28 Allora si accostò uno degli scribi che li aveva uditi discutere, e, visto come aveva loro ben risposto, gli domandò: “Qual è il primo di tutti i precetti?” 29 Gesù rispose: “Il primo è: Ascolta, Israele. Il Signore Dio nostro, il Signore è uno; 30 amerai dunque il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza. 31. E il secondo è questo: Amerai il prossimo tuo come te stesso”»), ripreso in Matteo, 22: «35 Uno di loro, un dottore della legge, lo interrogò per metterlo alla prova: 36 “Maestro, qual è il più grande insegnamento della legge?” 37 Gli rispose: “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. 39 Questo è il più grande e il primo dei precetti. E il secondo […]: Amerai il prossimo tuo come te stesso. 40 Da questi due precetti dipendono tutta la Legge e i Profeti”». Il riferimento è naturalmente al Deuteronomio, 6:4-9 e, implicitamente, ai Dieci Comandamenti (Esodo 20 e Deuteronomio, 5), nonché al Levitico, 19: 18, «amerai il tuo prossimo come te stesso», e 34, «tratterete lo straniero, che abita fra voi, come chi è nato fra voi; tu lo amerai come te stesso; poiché anche voi foste stranieri nel paese d’Egitto».
Non intendiamo neppure darLe una lezione di esegesi biblica, ma solo richiamare il fatto che l’argomento della contrapposizione ha lasciato spesso il posto a quello della continuità, o meglio, del completamento dell’Antico Testamento con il Nuovo. In questa continuità, l’Antico Testamento era la Storia Antica, a cui si faceva ricorso soprattutto per il grande repertorio di modelli politici positivi, del tutto assenti nel Nuovo: pensi solo al simbolo della Libertà Repubblicana nella sua Firenze: David, il re biblico, emblema della piccola nazione virtuosa minacciata da grandi potenze dispotiche, rappresentate dalla testa mostruosa di Golia!
Ma pensi anche all’influenza nella cultura sociale europea di altre pagine del Levitico, dove si legge: «il salario dell’operaio al tuo servizio non ti resti in mano la notte fino al mattino», «non commettere iniquità nel giudizio, con equità giudicherai il tuo prossimo», e si reitera di rispettare il sabato e «far riposare l’asino e il bue, il servo e lo straniero».
Questa continuità venne però oscurata con la grande frattura del Cristianesimo in seguito alla Riforma: con il Concilio di Trento la Chiesa di Roma si proclamava verus Israel, riprendendo e sviluppando la dottrina della sostituzione, anche in opposizione ai Calvinisti, che si dichiaravano novus Israel e legittimavano le loro azioni politiche con il ricorso continuo all’A.T.
L’accentuazione della dottrina del verus Israel portò la Chiesa di Roma ad esacerbare i rapporti con gli ebrei, indicati come il popolo che rimaneva attaccato al Dio ‘vendicativo’ dell’A.T., che perciò dovevano vivere rigidamente separati dal resto della popolazione, con lo statuto di ‘servi’: la bolla Cum nimis absurdum di Papa Paolo IV, del 1555, portò all’istituzione dei ghetti in tutta Europa, alle Case dei Catecumeni, ai battesimi forzati, a riaccendere i roghi del Talmud, ecc. ecc.
Il Ghetto di Roma fu l’ultimo ad essere abbattuto in Europa, nel 1870! (e ancora nel 1858 nello Stato Pontificio si compiva il rapimento e il battesimo forzato del piccolo Edgardo Mortara.)
Da sempre le persecuzioni cui sono stati sottoposti gli ebrei da parte di cristiani sono state giustificate dalla teoria della contrapposizione fra Gesù e l’Antico Testamento, che logicamente culminava con l’accusa di ‘popolo deicida’ (come insegna la Prima Lettera di Paolo ai Tessalonicesi, 2: 14-16), fino al suo definitivo superamento con il Concilio Vaticano II, che tuttavia non è riuscito a spazzare via tutte le incrostazioni secolari e i residui che emergono anche nel suo articolo.
È per questo motivo che il suo riferimento acritico a tale contrapposizione, come se fosse un dato di fatto, ha provocato tante reazioni allarmate nel mondo ebraico, di cui lei, anche nella sua replica, non riesce a capacitarsi.
Perché se è vero che nella Bibbia ci sono anche pagine di violenza arcaica, è altrettanto vero che solo nel testo biblico, unico nell’antichità, gli esseri umani sono definiti uguali per natura, in quanto tutti fatti a immagine di Dio, e che solo nella Bibbia la liberazione degli schiavi (nell’anno sabbatico, e poi nel Giubileo) portava a una vera uguaglianza degli schiavi emancipati (a differenza del mondo greco, con gli iloti, gli apeleutheroi e i meteci, o di quello romano, con i liberti). Ed è solo nel testo biblico – sì, quello ‘ebraico’, quello del ‘Dio vendicativo’ dell’Antico Testamento – in cui lei stigmatizza l’esistenza della schiavitù – è lì che troviamo la storia dell’Esodo, della liberazione di un popolo intero, dapprima schiavo e poi affrancato grazie all’accettazione della Legge, attraverso un processo dinamico nello spazio (l’Uscita dall’Egitto e l’arrivo nella Terra Promessa) e nello spirito, attraverso la trasformazione sociale, psicologica e politica degli ebrei. Ne discutevano con profonda dottrina i grandi Ebraisti cristiani negli innumerevoli trattati sulla ‘Politia Judaica’ che circolavano nel XVI e XVII secolo (non solo Riformati, pensiamo al nostro Carlo Sigonio e al suo De Republica Hebraeorum, pubblicato a Bologna nel 1582), ma vi si ispirarono anche importanti movimenti politici in epoca moderna: all’Esodo si richiamava la rivolta delle Fiandre contro l’Impero spagnolo, che portò alla creazione della Repubblica delle Provincie Unite, accompagnata dalla ‘retorica biblica’ dell’esercito nemico annegato dall’apertura delle dighe, come l’esercito egiziano nel Mar Rosso …!, così come nell’Inghilterra del secolo successivo l’esercito di Cromwell, ‘I Soldati di Dio’, che marciavano contro il tiranno Carlo I, chiamato ‘Faraone’.
E si potrebbe continuare, con tanti esempi, fino alla Rivoluzione Americana e oltre: Michael Walzer, in Exodus and Revolution (1985) ha mostrato come l’influenza del paradigma dell’Esodo si potesse avvertire forte ancora nel Novecento, nel movimento latinoamericano della ‘Teologia della Liberazione’, e soprattutto nel movimento di lotta per i diritti civili degli afroamericani negli Stati Uniti.
Ci rimane del tutto inspiegabile il motivo per il quale, «proprio sotto Natale», esprimendo simpatia per «la novità del movimento delle sardine», abbia ritenuto opportuno paragonarlo alla rivoluzione di Gesù, che sarebbe stata rivolta contro «la severa e vendicativa religione dei padri», riprendendo formule obsolete secondo l’insegnamento attuale della Chiesa Cattolica, quasi strizzando l’occhio a forze che rimpiangono la Chiesa preconciliare, che guardano cioè all’indietro, verso un passato che speriamo non torni più.

Lea Campos Boralevi, Università degli Studi di Firenze
Gigliola Sacerdoti Mariani, Università degli Studi di Firenze

(30 dicembre 2019)