Le responsabilità dell’odio

rassegnaI fatti di Monsey, mentre emergono nuovi inquietanti dettagli sull’attentatore, continuano ad essere oggetto di riflessione.
Invita a “non eccedere in allarmismo” il noto costituzionalista Alan Dershowitz, intervistato dal Corriere. Afferma Dershowitz: “L’aumento di violenze ed episodi di intolleranza antisemita deve preoccuparci, ma non dimentichiamo che stiamo parlando di episodi sporadici: casi isolati che vengono dal basso. A differenza di quanto è avvenuto in passato, una spirale arrivata fino a Hitler, e di quanto sta ricominciando ad accadere in alcune parti d’Europa, in America l’antisemitismo rimane un fenomeno bottom-up, non top-down: non parte dai vertici politici o da gruppi organizzati della società, né gode di coperture significative”.
Secondo Dershowitz è in Europa che “l’antisemitismo si sta diffondendo e, cosa ancora peggiore, si sta strutturando: le cose vanno molto male in Germania, Polonia, Scandinavia, buona parte della Gran Bretagna e nel sud della Francia”. Unica isola felice, per l’intervistato, sarebbe l’Italia.
La spirale di odio sembra invece preoccupare di più lo scrittore Nathan Englander, interpellato da Repubblica. Dichiara Englander: “C’è una brutta atmosfera in tutta l’America. La normalizzazione dell’odio fa proseliti ovunque. Nessuno riuscirà a cambiare New York: città aperta, accogliente, multiculturale. La convivenza è parte della sua identità. Ma non è mai stata una città facile. Cose terribili accadevano anche prima e non solo agli ebrei. Lì ogni minoranza ha il suo carico di sofferenza. Immigrati, neri, latini, gay: in una città che tollera tutto c’è sempre chi non accetta tanta apertura. Oggi però chi è intollerante gode di maggior impunità”. Per Englander “inutile girarci intorno: Donald Trump ha dato il via libera a ogni forma di suprematismo violento”.

Trentadue esponenti del mondo della cultura e dello spettacolo firmano sul Corriere una lettera “contro gli insulti” a Dacia Maraini, con riferimento al suo editoriale pubblicato dal quotidiano alla vigilia di Natale. Si legge nel documento: “Su alcuni passaggi del testo, che possono essere discussi e che hanno offeso la sensibilità di molti lettori nel mondo ebraico e non solo, si deve ragionare, come hanno dimostrato le posizioni delle autorità religiose comparse su questo quotidiano. Il confronto dialettico, quando civile e misurato, è infatti un momento prezioso per la crescita democratica di un Paese. Diversamente, si vuole porre l’attenzione su alcuni interventi, soprattutto sui social e su certa stampa, che vanno in un’altra direzione: un attacco personale alla donna e alla scrittrice”.

Il Riformista intervista l’ex premier israeliano Ehud Barak. “Per la terza volta in meno di un anno, Israele torna alle urne. Di chi è la responsabilità?” gli viene chiesto. “Non credo – risponde Barak – che vi siano dubbi in proposito: la responsabilità è tutta dell’uomo che ha trasformato le elezioni di aprile e di settembre in un referendum su se stesso: Benjamin Netanyahu. Netanyahu ha alimentato una campagna di odio che rischia di avvelenare la vita politica d’Israele e corrodere le basi stesse di una convivenza civile”.

Come reagire all’antisemitismo? Andrea Riccardi, su Avvenire, indica una strada: “Una delle grandi risorse è la libertà con il pluralismo delle nostre culture e religioni. Questo fa ricca l’Europa e l’Italia. Dobbiamo andare a fondo e mostrare, specie ai giovani e fin dalla scuola, come l’ebraismo sia la nostra storia europea. Non accontentiamoci delle dichiarazioni, ma lavoriamo sulla formazione, la cultura e l’amicizia”. Sul Foglio si sostiene che, per sopravvivere, gli ebrei europei e americani sarebbero costretti a occultare la loro identità. “Oggi – si legge – stiamo assistendo a una nuova forma di marranesimo nella società liquida senza persecuzione ufficiale e di stato, ma spicciola e quotidiana, nondimeno pericolosa”.

Repubblica racconta il passaggio, esattamente un secolo fa, di Franz Kafka a Merano. L’itinerario inizia dalla passione Ottoburg, dove alloggiò e dove scrisse le sue lettere a Milena recentemente pubblicate, in una nuova edizione, da Giuntina. “Il castelletto bianco disegnato contro il cielo alto e sereno, le biciclette ferme contro un muro: potremmo essere un secolo indietro – si legge – se non fosse per la targa che dice ‘Franz Kafka visse qui nell’anno 1920’.”

“Negli ultimi anni, sempre con maggiore intensità, Torino si è rivelata una palestra importante per la costruzione di un modello di tavolo interreligioso, studiata con interesse nel resto d’Italia. Tutte le rappresentanze religiose sono coinvolte con impegno e partecipazione”. Così il rabbino capo Ariel Di Porto, in un intervento su La Stampa.

Adam Smulevich twitter @asmulevichmoked

(31 dicembre 2019)