Greed, capolavoro perduto

Giorgio BerrutoGennaio 1920: Eric von Stroheim decide di trarre un film dal romanzo “McTeague: A Story of San Francisco” di Frank Norris, e di realizzarlo con la casa di produzione Goldwyn. Stroheim viene da Vienna ed è ebreo; regista di prima grandezza negli anni venti, continuerà a imporsi come attore fino al secondo dopoguerra, comparendo in pellicole indimenticabili come “La grande illusione” di Jean Renoir e “Viale del tramonto” di Billy Wilder. Secondo Orson Welles Stroheim è il migliore a recitare con gli oggetti: difficile dargli torto se si pensa, per esempio, alle scene in cui impersona il comandante della prigione tedesca von Rauffenstein nel film di Renoir.
Stroheim del libro di Norris censura l’antisemitismo e crea un film che a detta dei pochissimi che hanno la fortuna di vederlo è sensazionale. Un’analisi delle passioni umane, e dell’avidità innanzitutto (greed in inglese, da cui il titolo), in cui a regnare è il perfezionismo e l’attenzione per ogni dettaglio. Stroheim guarda alla nascente scuola sovietica di montaggio e innova (tantissimi i tagli), sfrutta in modo inedito la profondità di campo, ricorre a simboli (come i canarini in gabbia, colorati sulla pellicola in giallo come l’oro, che compaiono in molte scene). “Greed” racconta la storia di Mac Teague e della moglie Trina, che un giorno vince inaspettatamente 5000 dollari in monete d’oro alla lotteria. Da questo momento, come in una tragedia greca, è il fato a determinare le parabole dei personaggi: rapacità, avarizia insensata, violenza, separazione, tracollo, morte, fino alla fuga disperata di Mac Teague nel deserto di Mojave dalle sabbie abbaglianti – abbaglianti come l’oro che porta con sé nel suo ultimo viaggio. Tutto viene filmato in location in 198 giorni: San Francisco, i monti della Sierra Nevada, la Big Dipper Mine in Iowa; per le sequenze nel deserto Stroheim sceglie la Death Valley e gira d’estate per due mesi a 160 chilometri dal centro abitato più vicino, in luoghi non raggiunti da strade (alcuni attori si ammalano durante le riprese).
Purtroppo per Stroheim e per noi tutti sono anni, quelli, in cui produttori e studios di Hollywood cercano di limitare la libertà dei registi, se non addirittura di vincolarli con contratti che lasciano poca o nulla libertà e spesso riservano al produttore il final cut, il montaggio definitivo. Certo, anche Stroheim ci mette del suo: per contratto avrebbe dovuto girare al massimo 2600 metri di pellicola, ne gira invece 135.972. La fama di megalomane lo precederà inevitabilmente negli anni a venire presso gli studios dell’industria dei sogni, con il risultato che ben pochi si azzarderanno a affidargli la regia di nuovi film. Il tirannico produttore della MGM (la Goldwyn si è infatti nel frattempo unita alla Metro) Irving Thalberg impone un nuovo editing, decretando in questo modo la distruzione dell’originale.
“Greed” viene proiettato una sola volta completo, nel gennaio 1924, per una durata di oltre 7 ore e mezza. Il film è quindi dimezzato, poi tagliato ancora e infine ridotto a una durata di 108 minuti, nonostante le proteste del regista, che vede distruggere pezzo dopo pezzo l’opera della sua vita. Al botteghino è un fallimento. Poi nasce la leggenda. Oggi la perdita di “Greed” è considerata forse la più grande catastrofe, dal punto di vista artistico, nella storia del cinema. Una versione del film di circa 4 ore ha unito le parti sopravvissute ai fotogrammi salvati delle enormi sezioni perdute. Inutile dire che anche in questa forma è un film straordinario.

Giorgio Berruto