Trump e la porta aperta
a un nuovo negoziato
Il mondo segue col fiato sospeso i tanti scenari di crisi. Dallo scontro Usa-Iran, con possibili ripercussioni per la sicurezza di Israele. Alle tormentate vicende libiche, che coinvolgono in modo diretto anche l’Italia artefice nelle scorse ore di un tentativo di mediazione non andato a segno. Pugno duro ma anche alcune aperture nelle parole di Donald Trump, analizzate da diversi quotidiani. “Il presidente americano – scrive La Stampa – ha chiesto alla Nato di aumentare il suo impegno nella regione mediorientale, e soprattutto ha sollecitato Francia, Germania, Gran Bretagna, Russia e Cina ad abbandonare ciò che resta dell’accordo nucleare. Così ha aperto la porta al negoziato per una nuova intesa più ferrea sulle armi atomiche, ma allargata ad altre questioni scottanti come le aggressive ingerenze di Teheran nell’area e il suo programma missilistico”.
Anche il premier israeliano Benjamin Netanyahu è intervenuto, rivolgendosi a Teheran ma anche ai suoi alleati. “Gli ufficiali israeliani hanno avvertito i gruppi palestinesi che spadroneggiano a Gaza poco dopo l’eliminazione del comandante iraniano a Baghdad: statene fuori. Un messaggio che – scrive il Corriere – i capi di Hamas sembrano disposti per ora a recepire”.
Il pericolo rischia di venire anche da Nord, dove agisce Hezbollah. Su questo tema il Corriere intervista Stefano Del Col, il comandante dei caschi blu che operano al confine tra Libano e Stato ebraico, secondo il quale non ci sarebbero segnali di aumento della tensione. A proposito del suo lavoro il generale dice: “Non siamo una forza di peace-enforcement. Non imponiamo la pace. Siamo qui su richiesta dei due Stati: il libanese e l’israeliano. Se la politica decidesse di fare a meno di noi ce ne andremmo il giorno dopo. Tutti gli attori dell’area lo sanno. il dialogo è continuo e devo dire che l’approccio italiano, rispettoso e costruttivo, contribuisce”.
In una analisi su Repubblica, firmata da Bernardo Valli, si legge: “Gli israeliani hanno smentito la notizia secondo la quale i loro servizi segreti avrebbero indicato agli americani il percorso del generale Soleimani e quindi favorito l’azione dei droni che l’hanno bombardato. Ma la smentita non ha convinto molti palestinesi, in particolare quelli di Gaza, che hanno stretti rapporti con gli Hezbollah libanesi e quindi con Teheran. Questo non è rassicurante per Israele”.
Anche Gad Lerner dice la sua, attaccando le scelte di Israele: “L’Iran non è la Corea del Nord, non è il Pakistan, e non è neanche l’Iraq (che peraltro l’intervento americano ha finito per consegnare all’egemonia sciita). L’Iran è una potenza regionale radicata nella storia ben più solidamente delle fragili petromonarchie del Golfo, Arabia Saudita compresa, su cui Stati Uniti e Israele fondano la loro spericolata strategia mediorientale. Dichiarare carta straccia l’accordo sul nucleare, infliggere all’Iran umiliazioni militari, o addirittura pensare di abbatterne il regime con la forza, si configura sul lungo periodo come una terribile sottovalutazione”.
A livello di governo l’azione italiana non sembra intanto troppo efficace. In parte lo riconosce lo stesso ministro degli Esteri Luigi Di Maio, in una lettera a Repubblica. Sostiene Di Maio: “Lo straordinario lavoro dei nostri tecnici, del corpo diplomatico, del personale militare e dei nostri apparati di intelligence è fuori discussione. Più discutibile è, invece, la capacità mostrata dalla politica nel saper integrare e mettere a sistema queste qualità e competenze. Credo sia giunto il momento di guardare avanti e pianificare”. L’invito del ministro è a “fare squadra”.
Dal 16 gennaio nelle sale JoJo Rabbit, il film Disney ambientato nella Germania nazista che sarà presentato a Roma in anteprima nel corso di un evento promosso dalla Fondazione Museo della Shoah. Dice Mario Venezia, il suo presidente, al Corriere Roma: “Come Fondazione Museo della Shoah abbiamo co-prodotto alcuni documentari perché crediamo nella potenza del linguaggio cinematografico. Sui film di finzione, come Jojo Rabbit, la vicenda è più complessa, perché si sceglie di raccontare la storia con il linguaggio della black comedy. Non è un caso isolato. Ma come insegna Train de Vie, questi film funzionano quando c’è un messaggio, e un pugno allo stomaco, ovvero l’improvviso e durissimo ritorno alla realtà”.
Oggi le pietre d’inciampo arriveranno per la prima volta a Firenze. Domani invece sarà la volta di Bologna. Quindici le stolpersteine che saranno poste in ricordo di altrettante vittime del nazifascismo. A parlarne è il Corriere Bologna, che riporta tra le altre le parole del presidente della Comunità ebraica Daniele De Paz: “È un passaggio – afferma – che continua a rafforzare la necessità di riflettere sul fare memoria oggi. In un contesto in cui, incredibilmente, odio, antisemitismo e razzismo trovano ancora spazio per parlare nella nostra società”.
Il Corriere presenta il libro Ritorno a Birkenau di Ginette Kolinka, che sarà oggi protagonista alla Casa della Memoria e della Storia. L’autrice viene definita “una signora di forza e lucidità straordinarie, che parla con humour della sua celebrità tardiva, ‘una vedette novantenne’, quando suo figlio, Richard Kolinka, in Francia è una rockstar dagli anni Ottanta con la amatissima band Télephone, di cui era il batterista”.
Resta complessa, a Roma, la situazione degli urtisti. Gli storici venditori di ricordi, in gran parte ebrei, rischiano a ore lo sfratto. Ieri, segnala tra gli altri il Corriere nelle pagine romane, l’assessore comunale alle Attività produttive Carlo Cafarotti ha svolto un sopralluogo con le associazioni “per esaminare la possibilità di un ‘ritocco’ alle nuove postazioni”.
Adam Smulevich twitter @asmulevichmoked
(9 gennaio 2020)