L’Oman e il dispotismo illuminato
Alla notizia della morte del sultano dell’Oman Qabus bin Aid al-Said i media italiani non hanno dedicato particolare attenzione e quando l’hanno fatto hanno soprattutto sottolineato le preoccupazioni per i problemi legati alla successione. Questi timori sembrano rapidamente rientrati perché lo stesso Qabus aveva predisposto l’ascesa al trono del cugino Haitham bin Tariq al-Said. Ma una riflessione sul significato della lunga permanenza al potere di Qabus appare utile perché con lui è stato proposto un modello di governance diverso da quello degli altri Paesi islamici e che potrebbe costituire un punto di riferimento per il futuro.
Quello di Qabus si potrebbe definire, per usare una terminologia occidentale, un modello di dispotismo illuminato in chiave islamica. Qabus ha riformato in profondità il suo Paese utilizzando i proventi del petrolio per modernizzarlo, soprattutto con la costruzione di tutte le infrastrutture – comprese quelle culturali – necessarie per lo sviluppo e favorendo un crescente afflusso turistico che ha avuto come conseguenza un contatto con gli stili di vita occidentali che non si riscontra in altri Paesi islamici.
Inoltre Qabus ha condotto una politica estera lontana dagli stereotipi correnti nei Paesi islamici. In particolare, uno dei suoi ultimi e più significativi atti è stato l’incontro a Mascate con il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, accompagnato dall’affermazione che non ci può essere soluzione delle tensioni mediorientali senza il riconoscimento dello Stato d’Israele.
Il mondo arabo-islamico ha conosciuto nei decenni varie forme di ideologia e di politica che avevano come obiettivo l’uscita dal sottosviluppo e l’entrata nella modernità. La formula per decenni egemone nei Paesi arabi è stata quella del nazionalismo e in particolare del panarabismo che è crollato con la guerra dei Sei giorni, lasciando dietro di sé le rovine di un nazionalismo impotente e confuso, sfociato nelle dittature militari di personaggi come Sadam Hussein, come Assad, come Gheddafi, che non hanno avviato i loro Paesi né verso la modernizzazione, nonostante le risorse a disposizione, né verso la democrazia.
Ecco, quello della democrazia è un punto chiave per capire il significato dell’esperienza dell’Oman. Abbiamo tutti ben presente nella memoria l’esito del tentativo, anche ideologico, americano di “esportare la democrazia” con la forza delle armi, in particolare con la deposizione e poi l’uccisione di Saddam Hussein. Ma la stessa strada fu seguita dai Paesi europei, in particolare dalla Francia, con la liquidazione di Gheddafi; e lo stesso si può dire, più in generale, di tutti i Paesi occidentali, con l’appoggio alle cosiddette “primavere arabe”.
Il radicale fallimento di tutti i tentativi di “esportare”, in un modo o nell’altro, la democrazia occidentale dovrebbe far riflettere e portare a chiedersi se il modello di dispotismo illuminato dell’Oman – che sembra assai diverso dai tentativi riformatori del principe Moḥammed bin Salmān nell’Arabia saudita – non possa essere un esempio che altri Paesi arabi potrebbero seguire. A condizione naturalmente, che il dispotismo sia effettivamente illuminato, cioè caratterizzato da una politica di modernizzazione e da una politica estera che si liberi degli stereotipi antioccidentali e antiisraeliani. In fondo, anche l’Europa, prima di approdare – con fatica e con tragici ritorni all’indietro – al liberalismo e alla democrazia passò attraverso l’esperienza settecentesca del dispotismo illuminato.
Valentino Baldacci