Oltremare – La Virginia
È uscito qualche giorno fa su Vanity Fair un articolo su Virginia Gattegno, con tanto di foto un po’ sognante in bianco e nero: “Quando il mondo perse i colori”.
La Virginia, cugina di mio zio, numero sul braccio e salute sempre altalenante, non mi ha mai raccontato nulla direttamente, fino a che non sono stata io a chiedere. E io ho osato “chiedere” solo dopo che lei, già anziana, aveva cominciato di sua iniziativa ad andare a parlare nelle scuole, negli anni Novanta. La memoria viva della Shoah, mi accorgo oggi, è una lunghissima shivà, il lutto dopo la morte di un congiunto, quando è uso non fare domande, e si lascia che sia la persona in lutto a prendere l’iniziativa, se se la sente. E una shivá che finirà quando non avremo più con noi le parole terribili che escono in nostra presenza da persone apparentemente così delicate e fragili. Ma la verità è che all’epoca io alla Virginia non sentivo di dover chiedere nulla. Credevo che mi bastasse quello che avevo letto nei libri, o quel che avevo visto con i miei occhi decisamente troppo giovani, ancora alle medie, nelle riprese degli Alleati. A me bastava che la Virginia, come gli altri, i pochi sopravvissuti ai campi che avevo intorno nel quotidiano, come Primo Levi, ci fossero. Come se la loro semplice esistenza in vita fosse sufficiente a passare emozioni ed informazioni per osmosi, oppure ad affermare qualcosa, forse che il bene alla fine prevale, forse che avevamo vinto, nonostante le perdite immense, e il fascismo ed il nazismo erano stati sconfitti per sempre. Sbagliavo, naturalmente. Le parole pronunciate dai sopravvissuti in presenza di chi la Shoah non l’ha vissuta sono fino ad oggi un valore inestimabile, una testimonianza fondamentale e insostituibile. E sbagliavo purtroppo anche su quel “per sempre”: i fascismi riemergono come fiumi carsici, e possono fare danni irreparabili quando non si mettono argini abbastanza alti e robusti. A guardare l’Italia e l’Europa da qui, mi domando se quegli argini reggeranno nel lungo periodo, perché al momento sembra facciano acqua da troppe crepe.
Daniela Fubini