Controvento – L’antisemitismo non è una scorciatoia
Apprezzo Luca Barbareschi come attore, uomo di teatro, produttore e come persona impegnata nella disseminazione della cultura. In breve tempo ha trasformato l’Eliseo in un “polo laico culturale innovativo” per usare la sua definizione, dove agli spettacoli si alternano conferenze sui temi dell’arte, della scienza, della letteratura, della spiritualità. Roma ne aveva bisogno.
Seguo perciò con partecipazione la sua campagna attraverso i social per evitare la chiusura del Teatro a causa a del taglio nelle sovvenzioni pubbliche, senza le quali in Italia chi fa cultura non riesce a campare, anche se ovviamente non sono in grado di dare un giudizio informato sulle sue rivendicazioni.
C’è qualcosa però che mi ha colpita negativamente, e sulla quale vorrei aprire una riflessione. più ampia. Barbareschi assimila la mancanza del sostegno economico pubblico di cui si ritiene vittima, a una forma di antisemitismo nei suoi confronti. Ritengo estremamente pericoloso e controproducente chiamare in causa l’antisemitismo ogniqualvolta a un ebreo viene fatto un torto, o quando è vittima di una scelta politica o culturale che non condivide – cosa che ahimè ho sentito assai spesso.
Cominciamo con il dire che l’ebraicità di Barbareschi non è conosciuta a tutti e nemmeno evidente, non essendo il suo un cognome ebraico – è ebreo per parte di madre, quindi ebreo a pieno titolo secondo le norme – ma quanti lo sanno? La sua orgogliosa rivendicazione è meritevole soprattutto in questo momento in cui personaggi noti, con nomi ebraici al di là di ogni dubbio, propongono ambigui distinguo sul fatto di essere di “origini ebraiche” ma non ebrei… ma non credo che il grande pubblico in generale e in particolare chi prende le decisioni economiche in questo settore sia necessariamente informato della religione di Barbareschi.
Ma soprattutto sono ben altri i motivi che possono aver condizionato le scelte ministeriali. Barbareschi ha tutto l’establishment teatrale italiano contro, perché ha ricevuto in passato fondi che chi gestisce altri teatri considera sproporzionati; ha un carattere difficile che certo non gli attira simpatie; è stato esponente politico della destra in un mondo in cui la cultura è dominata e gestita da sempre dalla sinistra.
Chiamare in causa l’antisemitismo mi sembra non solo controproducente, ma anche pericoloso. Come insegna la saggezza popolare, gridare “Al lupo!” quando il lupo non c’è ingenera assuefazione e mancanza di reazione quando il lupo arriva davvero (e di lupi famelici in giro ce ne sono troppi…). La discriminazione su base religiosa, etnica, di genere o di scelte sessuali è una realtà diffusa e dolorosa da prendere in seria considerazione. Strumentalizzarla è una forma di vittimismo che si ripercuote negativamente sulle vere vittime dall’altro. Parlare di “genocidio culturale” e “antisemitismo come odio verso un pensiero culturale complesso ed elaborativo” per sostenere il proprio diritto a dei fondi pubblici, mi sembra una offesa verso chi è seriamente colpito dall’odio discriminatorio.
E questo non riguarda solo Barbareschi, al quale va la mia comprensione e il mio affettuoso saluto, ma a tutti coloro che utilizzano la scorciatoia dell’antisemitismo per giustificare le sconfitte e le delusioni della vita.
L’antisemitismo è una atroce realtà con cui siamo tenuti oggi a fare di nuovo i conti. Seriamente.
Viviana Kasam