Gilberto Tofano (1929-2020)

Gilberto. A casa nostra si chiamava Pizzirì. Il suo nome d’arte da bambino. Figlio, com’era, di una famiglia di intellettuali e di artisti.
La storia dei Tofano si intreccia per la prima volta con quella della nostra famiglia alla fine degli anni Trenta del secolo scorso. In quegli anni bui del nostro Paese dove una serie di leggi razziste isolarono gli ebrei dal resto della società per poi perseguitarli e infine mandarli a morire. Quando tutti gli studenti ebrei furono cacciati dalle scuole statali e le comunità ebraiche organizzarono delle scuole private per far continuare a studiare i propri figli, alcune persone li aiutarono. Tra queste, Sergio Tofano, il padre di Gilberto, grande attore, registra teatrale, fumettista e drammaturgo, il quale aderì ad organizzare uno spettacolo del Signor Bonaventura per i bambini ebrei. Fu in quella occasione che i miei nonni lo conobbero di persona e nacque una vera amicizia. I Tofano abitavano allora a Via del Corso, mentre la sorella di Sergio, Liliana, viveva assieme alla sua storica amica di scuola Francesca Tardani, insegnante di pianoforte, in piazza Paganica 13, quasi dentro il ghetto. Mi raccontava Gilberto: “Quando i miei genitori, che fino al ’41 hanno sempre vissuto di grande albergo in grande albergo, mi affidarono a loro divennero zie in servizio permanente effettivo: per me zia Liana era ‘mammì’ e zia Francesca ‘zizzì’. Si potrebbe pensare che un bambino che cresce tra due anziane zitelle possa trarne qualche problema di personalità. Invece la tempra dimostrata dalle due fragili signorine fin sotto il fascismo e ancora di più dalle leggi razziali in poi è stata per me un grande e decisivo esempio”.
Furono mammì e zizzì, le zie a tempo pieno di Gilberto, a decidere dopo l’8 settembre che i miei nonni e i loro tre figli correvano ormai un pericolo imminente. “Non c’era sera che non si affacciassero da noi a Via Arenula – ricordava mio padre Guido – implorandoci di scappare e nasconderci”. Mio nonno Leonello aveva comandato una unità di carristi nella prima guerra mondiale difendendo la Patria contro gli austriaci e venendo decorato. Era sicuro che la patria non lo avrebbe tradito. Le zie di Gilberto insistettero: venite via! E portarono mia nonna con la piccola Paola a casa loro. Mio padre, coetaneo di Gilberto e suo compagno di giochi, venne mandato da un conoscente cattolico. Mio nonno e mio zio Giancarlo, allora sedicenne, avevano trovato un alloggio sicuro, ma la notte tra il 15 e il 16 ottobre avevano dormito di passaggio in Viale delle Milizie, in Prati, ospiti di una famiglia ebrea che si era convertita. La mattina del 16 ottobre una delle prime camionette di tedeschi si fermò proprio lì, fece irruzione in casa e prese tutti, anche mio nonno e mio zio. Quando alle 5.30 di quel sabato i Tofano sentirono le urla degli ebrei del ghetto rastrellati e li videro portare via dalla loro finestra, mio nonno e mio zio erano già stati catturati e il filo del telefono di quell’appartamento staccato. Quella mattina, che Gilberto mi ha raccontato tante volte, guidandomi fino a piazza Paganica e indicandomi le finestre da cui assistette quattordicenne a tanto scempio, segnò uno spartiacque nella nostra vita, e anche nella sua. Se mia nonna e mia zia non fossero state con loro, le avrebbero deportate. Il giorno dopo, fu Sergio Tofano ad accompagnare mio padre sotto nome falso al collegio San Giuseppe Demerode, a Piazza di Spagna, dove aveva messo in scena non tanto tempo prima il suo Gianburrasca e dove conosceva il buon cuore di padre Sigismondo. La famiglia Tofano salvò la vita a mio padre, a mia nonna e a mia zia. Mentre mio nonno e mio zio, deportati ad Auschwitz, non tornarono più. Da bambina incontravo spesso sulla strada per scuola le signorine Tofano e Tardani, che abitavano in Via delle Zoccolette. A volte ci veniva a trovare anche l’anziano attore, vestito di bianco, elegantissimo. Sentivo forte il sentimento di gratitudine dei miei per tutti loro, ma ancora non sapevo. Fu molto più tardi che mio padre mi raccontò la storia nei dettagli. Ed ancora più tardi, quando lavoravo da Israele come corrispondente di un noto quotidiano italiano, che mi imbattei per la prima volta in Gilberto, il quale aveva messo in scena a Haifa proprio il Signor Bonaventura, in ebraico! Fu un incontro speciale.
Il terzo intreccio fu ancora più sorprendente. Mia figlia Hanna che studiava cinema in un liceo israeliano venne a casa affascinata da un film che aveva considerato il primo vero capolavoro del cinema israeliano. “Mamma, mi disse, il regista ha un nome che sembra italiano: un certo Gilberto Tofàno”. Saltai sulla sedia e vidi con lei fino a notte fonda il film Mazor, opera storica di Gilberto. Fu allora che lo cercai di nuovo, a Bologna. E poi lo venni a trovare. Nacque una amicizia piena di scambi, ricordi, messaggi, racconti. E venne a Bologna anche Hanna, che ora vive a New York, per conoscere il suo eroe. Riuscii anche a far invitare Gilberto al Festival del cinema israeliano a Roma. Grazie ai racconti di Gilberto e a quelli raccolti da mio padre (mancato due anni fa) e da mia zia Paola, ancora in vita, siamo finalmente in grado di avviare la procedura per far riconoscere la famiglia Tofano tra i “Giusto tra le nazioni” dallo Stato di Israele. Perché chi salva una vita, è scritto nel Talmud, salva il mondo intero.
Senza Gilberto, senza Liliana Tofano e Francesca Tardani e senza Sergio Tofano, non sarei qui a raccontare questa storia. Dobbiamo a loro la vita. Dobbiamo a loro la salvezza. Dobbiamo a loro la speranza che anche in momenti il cui l’umanità sembra aver perso la ragione, ci sono uomini e donne che si ricordano di essere umani, anche a rischio della propria vita. Grazie Gilberto. Sia il suo ricordo di benedizione assieme a tutta la famiglia Tofano.

Simonetta Della Seta

(5 febbraio 2020)