Il ricordo della schiavitù subita
In questo periodo leggiamo nella Torah le Parashot in cui si narra la sofferta schiavitù degli ebrei in Egitto e la loro liberazione grazie alle azioni straordinarie operate dal Signore. Come è noto l’impegno a tenere fortemente presenti questi eventi costituisce uno dei valori fondamentali della Torah e moltissime Mizvot sono motivate o in vario modo collegate al dovere di ricordarli. In effetti possiamo individuare diversi tipi di precetti che ci richiamano al tempo della schiavitù e della liberazione, sollecitandoci a considerarli non solo come eventi da ricordare ma come espressioni emblematiche di valori fondamentali, nella fede e nella morale dell’ebraismo, da attualizzare e realizzare nel concreto della vita di ogni ebreo. Abbiamo quindi la festa di Pesach, che una volta all’anno rinnova la memoria nella forma più intensa, con tutte le molteplici forme di preparativi di ritualità e di coinvolgimento che ben conosciamo (la ricerca e l’eliminazione dei cibi lievitati, il Seder, la mazah e tanto ancora), in tutte le dimensioni individuali, famigliari comunitarie e – in Israele – anche nazionali. Poi abbiamo altre mizvot che si richiamano periodicamente a questo ricordo, ogni settimana almeno ricordiamo la “yeziat mizraim”, “l’uscita dall’Egitto” nel Kiddush di Shabbat. Riscontriamo poi le numerose mizvot particolarmente legate alla dimensione sociale, alla tutela dei più deboli, alle varie forme di aiuto per i poveri , motivate dalla Torà con il dovere di ricordare la schiavitù sofferta in Egitto, che hanno naturalmente una cadenza periodica variabile. Infine abbiamo le mizvot che ci rinnovano questa memoria quotidianamente, anche più di una volta al giorno, come la lettura dello Shemà – nel terzo brano – e i Tefillin, nei quali due dei quattro brani della Torà ivi riposti trattano esplicitamente del ricordo della liberazione dalla schiavitù il Egitto. Riflettendo sulle difficoltà a mantenere l’attenzione per la Memoria della Shoah al di fuori delle giornate di commemorazione e, ancor più, sul problema di come tradurre la Memoria in un impegno di vita costante e nella scelta di valori e comportamenti nel quotidiano, penso che potremmo prendere a modello per la Memoria della Shoah questa modalità di memoria che la Torà ci propone per ricordare la schiavitù e la liberazione del popolo ebraico: un sistema preciso di azioni concrete, nelle quali il ricordo di eventi fondamentali si ripropone attraverso cadenze precise, non concentrandosi nello spazio di pochi giorni ma ricorrendo con intensità crescente nel quotidiano, in giorni frequenti ed importanti, in azioni che riportano la memoria nell’attualità della nostra vita ed infine nelle giornate specifiche ad esso dedicate. Infine questa riflessione: quando la Torà ci raccomanda di provvedere ai più deboli, “ai poveri, agli orfani, alle vedove allo straniero” nel ricordo della schiavitù subita, non ci dice che la condizione di queste persone a cui dobbiamo rivolgere la nostra attenzione, le loro pene e le loro sofferenze siano paragonabili a quelle che i figli d’Israele avevano sofferto in schiavitù; le tribolazioni patite in Egitto per la crudeltà del faraone posseggono nella Torah un valore emblematico proprio perché considerate di terribile e straordinaria durezza, ma proprio per questo il loro ricordo si deve mantenere anche rafforzando la nostra coscienza morale e la nostra sensibilità con l’adempimento dei doveri verso i più deboli. Anche questa riflessione penso possa avere dei risvolti nell’attualità della Memoria.
Giuseppe Momigliano, rabbino capo di Genova