Non basta che se ne parli
Com’è possibile spiegare la vicenda di Samuele G. Artale von Belskoj-Levy, un “finto testimone” della Shoah? Se digitiamo su google il suo nome appariranno nella ricerca innumerevoli video, resoconti ed interviste dei suoi incontri nelle scuole e in altri luoghi pubblici. Un anno esatto fa comparve già su queste pagine un articolo di Gadi Luzzato Voghera il quale spiegava che attraverso il lavoro del CDEC la sua testimonianza era stata considerata dubbia. Come mai allora Artale continuava ad essere invitato dalle istituzioni e a tenere incontri? Non si tratta di indagare a proposito della condotta dell’anziano ingegnere, potrebbe forse trattarsi davvero di un caso clinico, di una sorta di immedesimazione e falsi ricordi, quanto constatare invece lo scarso rigore scientifico e l’approssimazione di una parte della società che ci circonda. Artale aveva pubblicato un libro con tanto di caratteri ebraici alla rovescia, il suo nome pomposo e altisonante composto dal nobiliare “von” era davvero poco ebraico, e un libro di storia può bastare per appurare che nel 1943 la Germania era ormai considerata judenrein, chi non era fuggito o deportato precedentemente viveva in clandestinità. I suoi racconti inoltre, per quanto potrebbero suscitare pathos, sono ben ricalcati su storie e testimonianze note ai più. Mi chiedo per quanti anni ancora avrebbe continuato un signore qualunque munito di kippah a tenere conferenze come sopravvissuto alla Shoah in un paese privo di centri di documentazione ebraica. In questo caso i propositi erano certamente buoni, quindi anche coloro che hanno offerto spazio ad Artale non sono in nessun modo biasimabili, ma sarebbe potuto essere altrimenti. La Shoah non è uno di quelli argomenti dove “basta che se ne parli”.
Francesco Moises Bassano