Demografia
Spesso ci facciamo coinvolgere dalla cronaca spiccia, in virtù di una pulsione che sta a metà fra il lashon hara ed il vero e proprio gossip. I dati emersi ieri sulla demografia italiana, indicano invece qualcosa di strutturale e assai profondo, su cui è impossibile non riflettere. Tanto più per una prospettiva ebraica, che ha tradizionalmente posto al centro l’idea di procreazione. Naturalmente, imperversano moralismi di ogni tipo, fino a rimpiangere un favoloso mondo antico mai esistito. Del resto, se le cose sono giunte fino a questo punto un motivo ci sarà pur stato, no? L’inversione demografica inizia perlomeno con la generazione del dopoguerra, quelli nati verso la fine degli anni ’40 e l’inizio degli anni ’50. È nel periodo della loro giovinezza che si sono affermati quegli ideali di emancipazione e di affermazione individuale, che hanno consumato una frattura profondissima col precedente modello famigliare. Da lì inizia a diffondersi un modello famigliare di 4 persone (genitori e due figli) e sono cominciate a scomparire le famiglie con 3, 4, 0 5 figli, che fino a pochi decenni prima erano quasi la norma. Perché tutto questo? Per un semplice motivo: la felicità. Perché non serviva il dott. Freud per capire quanto il modello famigliare precedente fosse oppressivo, anzi proprio repressivo. Un modello fondato sulla totale frattura con le categorie del desiderio, della scelta, del benessere individuale. I figli spesso fatti per appagare il dovere sociale (vedere tutto Bergman), se non segno di una mentalità patriarcale in cui la donna doveva essere assoggettata all’uomo. Un modello, per usare sempre termini psicanalitici, realmente fondato sulla pulsione di morte (forza conservativa e regressiva) contro la pulsione di vita (l’opposto). Ed anche questi termini non possono risultare indifferenti ad un orecchio ebraico, che dovrebbe fondarsi sull’idea che la vita può emanciparsi, che la libertà vincerà su ogni determinismo, che la felicità sia raggiungibile. Se no, tanto valeva stare schiavi in Egitto. Così in una hegeliana oscillazione per cui alla tesi succede l’antitesi, i genitori del dopoguerra hanno contrapposto la felicità alla famiglia, il loro mondo a quello precedente. L’inversione demografica (ricordiamo che perché ci sia crescita demografica i figli devono essere almeno 3) è stata la logica conseguenza di questa liberazione del desiderio. E da un lato bene così perché per il progresso medico, stili di vita più salutari e altro il ricambio morti-nascite è alterato rispetto ai secoli passati e ci saremmo trovati a vivere un’esplosione demografica a cui non saremmo riusciti a far fronte. E tutti dobbiamo ringraziare la Cina per la legge sul figlio unico. Figuriamoci come sarebbe un mondo con 5 miliardi solo di cinesi! Le generazioni degli anni ’70 e ’80 sono, a loro volta il prodotto del modello dei loro genitori, ulteriormente radicalizzato. Cosa fare? Bisognerebbe aprire una reale discussione sociale in cui tutte le parti siano disposte a mettersi in gioco. Le nuove generazioni disposte a ripensare un’ingenua ed astratta immagine di felicità. Le vecchie (o di chi ne fa le veci) disposte a rendere pubblica anche la sofferenza procurata dalla famiglia. Disposti a dire a quanto abbiano rinunciato, disposti a mettere in discussione la propria vita, il proprio amore per il partner (magari sfiorito dopo un anno, e non parliamo del sesso), il proprio amore per figli e figlie (lama ze? Chiede Rivkà rivolgendosi al Signore). A confessare, quindi l’infelicità provata in vita. Siamo disposti? Non mi pare. Non rimane che affidarsi alla necessità hegeliana (dopo tesi e antitesi, sintesi), che, però, non risolve i problemi, ma ne apre di altri. Un’ultima nota sui dati di ieri. Molto più prosaica. Il numero che più mi ha colpito è il rapporto morti-nascite, che negli ultimi 10 anni si è radicalmente ampliato: 100 morti contro 94 di 10 anni fa, 100 contro 64 (!) oggi. Bene, questo non è affatto il segno di un cambio culturale. Il modello famigliare non è cambiato in questi 10 anni, che altro non hanno fatto che ribadire il modello sviluppato negli ultimi decenni. Anzi, sono emerse nuove tecniche di fecondazione per cui una persona può farsi un figlio da sola (e dovremmo abituarci anche a questo per il futuro) oltre che aver esteso la possibilità di figli alle coppie gay. Tutti elementi che potrebbero portare negli anni futuri ad una crescita demografica. Quel dato è figlio di tutt’altro processo: certo il declino economico che porta incertezza sul futuro (ma i Paesi poveri sono quelli dove si fanno più figli!), ma soprattutto va messo in relazione con il dato dello spopolamento. Perché non è che i giovani italiani abbiano smesso così drasticamente di fare figli, è che partono e i figli li fanno all’estero! Un altro segno del declino strutturale di questo Paese.
Davide Assael