La scuola ai tempi del virus

anna segreDa un giorno all’altro quella che sembrava una quasi piacevole vacanza forzata rischia di trasformarsi in un piccolo incubo. Improvvisamente, alla notizia che saremo chiusi almeno fino al 15 marzo, la scuola ha deciso che doveva mostrare il proprio volto superefficiente e supertecnologico: se non possiamo incontrare gli allievi di persona allora dobbiamo manifestarci con didattica a distanza, classi virtuali, materiali, verifiche, ecc.
Chiunque frequenta il mondo della scuola (o lo ha frequentato negli ultimi decenni: quando ero studentessa non era diverso) sa benissimo come si svolgono normalmente le lezioni: interruzioni continue per avvisi, circolari, annunci di spettacoli, raccolte di soldi, ecc. Allievi che entrano ed escono, allievi che si assentano dalla lezione per periodi più o meno lunghi per i motivi più disparati (concorsi, gare sportive, assemblee dei rappresentanti, attività varie, necessità di colloqui urgentissimi con altri insegnanti). Insomma, è veramente difficile credere che le nostre lezioni siano percepite come qualcosa di indispensabile. O, per lo meno, era difficile crederlo fino a due giorni fa, quando improvvisamente si è cominciata a richiedere da noi un’efficienza che nella vita reale sarebbe impensabile, come se da un momento all’altro si fosse deciso che non ci si può più permettere di perdere nemmeno un minuto. Ecco dunque che la lezione diventa un bene preziosissimo, di cui non si può fare a meno. In effetti è un meccanismo psicologico abbastanza noto: le persone per principio non sopportano che sia tolto loro qualcosa a cui ritengono di avere diritto, indipendentemente dal danno effettivo che questa sottrazione comporta.
Cosa ci si aspetta da noi esattamente? Non la normale lezione frontale, che è ovviamente impossibile. E dunque? A quanto mi pare di capire dagli esempi e dalle discussioni tra colleghi, dovremmo inviare appunti, schemi, sintesi, magari brevi video in cui condensiamo in pochi minuti quello che normalmente diciamo in un’ora. E si sentono da ogni parte grandi discorsi sulla necessità di cogliere quest’opportunità per avere una scuola più moderna ed efficiente. Personalmente trovo tutto questo un po’ inquietante. Tra una discussione e l’altra su problemi tecnici, dove sono andati a finire i contenuti? La scuola non dovrebbe essere prima di tutto confronto, discussione, insegnare ai ragazzi a ragionare con la propria testa? Perché bisogna riassumere, stringere, condensare, anziché chiedere agli allievi di approfondire? E, per quanto riguarda la letteratura italiana, perché non si può semplicemente consigliare ai ragazzi di utilizzare questo tempo vuoto imprevisto per leggere, prendere in mano i testi classici che spesso si leggono a pezzi o troppo frettolosamente, leggere con calma, riscoprire il piacere della lettura?
Fortunatamente i nostri mezzi tecnici non sono tali da poter mettere neppure lontanamente in pericolo un’istituzione millenaria come la scuola con le sue lezioni frontali; anzi, più cercheremo mezzi diversi, più avremo nostalgia del dialogo a più voci guardandosi negli occhi, del confronto diretto, dello scambio di opinioni, delle battute, delle risate. E quando questo periodo finirà tireremo tutti un gigantesco sospiro di sollievo e per un bel po’ di anni (forse i nostri allievi per decenni) ogni volta che ripenseremo alla primavera del 2020 ci diremo che in fondo alzarsi alla mattina per andare a scuola non è poi così male.

Anna Segre