Giobbe e Abramo

Giorgio BerrutoSecondo il midrash prima di ordinare l’infanticidio dei neonati ebrei il Faraone avrebbe consultato Balaam, Ietrò e Giobbe. Della morte del primo, favorevole allo sterminio, racconta la Torà. Il secondo, che si oppone al decreto e fugge, è premiato con l’inclusione dei suoi discendenti nel popolo ebraico. Giobbe invece prende tempo, non risponde, rimane neutrale e “questo silenzio gli costerà le sofferenze future”. Il midrash lega dunque la sorte atroce di Giobbe all’indifferenza di fronte alle sventure altrui, a indecisione e mancanza di scelta. Una sua opposizione non avrebbe cambiato la decisione del Faraone e anzi in questo caso Giobbe come Ietrò avrebbe dovuto probabilmente preoccuparsi della propria vita. Nonostante questo l’astensione di Giobbe di fronte a un provvedimento crudele per il midrash non può essere scusata.
Abramo, di cui Giobbe secondo il Talmud è contemporaneo, presenta un modello di comportamento diverso. Egli infatti interviene in prima persona nel tentativo di sottrarre alla distruzione Sodoma e Gomorra al punto da intavolare con Dio una serrata discussione. Abramo, a differenza di Giobbe, si mette in gioco per difendere interessi che non sono suoi, al punto di cercare di salvare città dominate dall’ingiustizia. Giobbe protesta contro l’ingiustizia solo quando viene toccato personalmente e non prima, ma è allora troppo tardi. Dovrà passare attraverso la sofferenza per capire l’errore, e solo allora verrà ristabilito nello stato di prima.
L’indifferenza di Giobbe è condannata dal midrash. Rimane il dubbio invece sull’intervento di Abramo a favore di Sodoma: si tratta di un dovere in nome della generosità e della responsabilità verso ogni altro vivente, oppure di un’azione supererogatoria, di un comportamento cioè che è giusto ma eccede il dovere, un “di più” che merita encomio ma che non è giusto pretendere?

Giorgio Berruto

(12 marzo 2020)