Controvento – Pesach, metafora
di un passaggio esistenziale

Viviana Kasam“Questo riposo forzato mi ha costretto a rivedere molti dei miei valori. A chiedermi che significato ha la mia vita, a rivedere i miei progetti per il futuro, a mettere in questione il nostro modello di sviluppo”. È una frase che sento spesso ripetere, diversamente articolata, da amici ovunque. Per tutti noi, ciascuno a modo proprio, l’isolamento è stato un passaggio esistenziale, e me ne giungono testimonianze quotidiane. Chi ha rivalutato rapporti affettivi trascurati, e chi li ha rotti; chi ha sistemato carte e fotografie e meditato sulle proprie scelte; chi si è scoperto talenti imprevedibili, e chi ha semplicemente dato un senso diverso alla propria quotidianità, a gesti che sembravano automatici, a progetti accantonati. Ai tramonti senza inquinamento e ai disegni dei figli.
L’isolamento prolungato, come spiega un brillante psicanalista e teologo svizzero, Nicola Gianinazzi, è un lutto collettivo: “lutto per le persone decedute, lutto per i progetti abortiti, lutto per le tante capacità e potenzialità fragilizzate, lutto per la coerenza persa di tanti discorsi politici ed economici. In poche parole lutto dall’illusione di onnipotenza, illimitatezza e immortalità e confronto con un’angoscia di morte pervasiva”.
L’illusione di onnipotenza è stata la cifra di questo inizio di Millennio. La convinzione di poter vincere le malattie, di poter controllare le catastrofi (esorcizzando ogni evento negativo con la ricerca di un colpevole), di essere padroni del mondo, della Natura, di poter conquistare l’eterna giovinezza e forse addirittura l’eternità. In pochi mesi, queste illusioni sono evaporate, come acqua al sole. Sconfitte da virus molto più antichi di noi, e quindi, se crediamo a Darwin, molto più attrezzati a sopravviverci.
Piano piano siamo stati spogliati di ogni abitudine: la scuola, il lavoro, i viaggi e le passeggiate, la possibilità di frequentare i luoghi di culto, le cene con gli amici, lo sport, le partite a carte, gli spettacoli, lo stadio, perfino il parrucchiere e il fisioterapista.. Ci siamo ritrovati a vagare in un deserto dove ogni punto di riferimento è perso, e ogni visione un miraggio, forse. Ma l’elaborazione del lutto, come ha spiegato al mondo Freud, ben consapevole della tradizione ebraica della shiva, è la premessa per rinascere. Dal deserto della morte, fisica e spirituale, la terra promessa della vita.
Pesach, la tradizionale festa della famiglia, dei figli e dei nipoti che non potremo celebrare insieme ai nostri cari, mi sembra quest’anno particolarmente significativa. Come i nostri antenati, siamo stati catapultati di corsa, senza il tempo di far lievitare il pane, in una situazione che mai avremmo previsto: l’isolamento, la privazione dei riferimenti quotidiani, il cibo: quello che possiamo consumare; la fine del viaggio; ignota; il potere: inutile; i fasti: dimenticati. Ma forse, come per i nostri antenati, questo viaggio può portarci alla libertà, quella interiore, che si conquista solo, ed è questa la metafora della Pasqua, attraverso la morte di tutto ciò che ci ha reso schiavi senza che ne fossimo consapevoli, agli idoli materiali che abbiamo adorato, alla stolta illusione di poter governare le nostre vite. C’è voluta una piaga misteriosa e terribile, per metterci in fuga dal simulacro di noi stessi che ci siamo costruiti, il vitello d’oro interiore, e trascinarci in deserto che ancora non riusciamo a interpretare. Alla fine del deserto, c’è un Paese di latte e miele, dicono i testi sacri, ma potranno entrarci solo quelli che avranno assaporato la libertà, si saranno liberati dalla schiavitù. Sapremo trasformare questa esperienza in un cammino di libertà? Sapremo far tornare il pianeta a una terra ricca e fertile? Sapremo trarre una lezione dall’eguaglianza che il viaggio ci ha proposto?
Non sono osservante, ma per me Pesach quest’anno sarà diverso. Perché questa notte è diversa da tutte le altre notti? è la prima domanda dell’Haggadah. Chiediamocelo con mente aperta, cercando in questa ricorrenza, una delle più importanti del calendario ebraico, un senso alla prova con cui siamo confrontati. Un modo per uscire dalle nostre schiavitù e scoprirci, alla fine del percorso, più liberi e consapevoli.

Viviana Kasam