Borges, ipotesi per uno scambio

emanuele calòQuando Jorge Luis Borges si riferisce alla Bibbia ebraica come l’inizio di tutto, secondo Edna Aizenberg (El tejedor del Aleph. Biblia, Kabala y Judaísmo en Borges, Altalena, Madrid, 1986, p. 22) la richiama quale base dell’etica occidentale e come uno dei testi fondamentali della letteratura dell’Occidente, riflettendo in ciò l’eredità della nonna inglese, che recitava la Bibbia a memoria. Certo, è stimolante considerare che l’ebraismo, pur essendo alla base del pensiero occidentale, sia nato in Oriente dove quel pensiero è particolarmente inviso e, tanto per evitare che il messaggio non sia ben percepito, siffatta avversione viene convogliata preferibilmente per le vie di fatto.
Convivrebbero in Borges due codici linguistici, quello spagnolo e quello inglese, i quali sarebbero portatori di due weltanschauungen diverse, portatrici in quanto plurali di un particolare arricchimento intellettuale (Aizenberg, cit., passim); in quel senso, il soggiorno europeo della famiglia intera, negli anni decisivi per la sua formazione (dai 15 ai 22 anni) deve aver svolto un ruolo determinante. Il viaggio in Europa, dunque “è un luogo comune nella vita e nelle lettere argentine” (Aizenberg, cit., p. 25) e, diremmo noi, una sorta di grand tour con almeno due secoli di ritardo nei riguardi di quello europeo, in ciò rispettando le distanze e pure le cadenze. Indi, a Ginevra il nostro studia in francese, impara il latino, e fa amicizia con due compagni ebrei, poi impara il tedesco e sostiene che attraverso quest’ultima lingua si accosta al pensiero ebraico, come sempre, attraverso le lettere, talvolta per via del soggetto (Heine, fra tanti) talaltra dell’oggetto (Il Golem, tramite Meyrink).
“Accusato” in patria di essere un cripto – ebreo, Borges scrisse “ I nostri inquisitori cercano ebrei, mai dei fenici, babilonesi, persiani, egizi, unni, vandali, ostrogoti, ottomai, berberi, vandali, britanni…. Le notti d’Alessandria, di Babilonia, di Cartagine…..non hanno mai ingenerato un nonno; soltanto alle tribù dl Mar Morto è stato accordato un tale dono”.
Fra il 1930 ed il 1945 vi è in Argentina un’intensa campagna antisemita, con forti addentellati governativi, alla quale risponde un comitato anti razzista, del quale Borges fa parte, ma lui non si fa bastare la firma e scrive Una pedagogia dell’odio, che farebbero bene a leggere non tanto gli odiatori che imperversano in Italia, a destra e manca, quanto i loro bersagli. Più tardi, nel 1969, Borges è ospite in Israele del governo e ne lascia traccia nella sua autobiografia; due anni dopo, riceve il Premio Gerusalemme.
Dal canto suo, Evelyn Fishburn (Reflections on the Jewish Imaginary in the Fictions of Borges, Variaciones Borges 5/1998) rileva che in “Emma Zunz”, sfuma e diventa intercambiabile la distinzione fra vittima ed aggressore, ambedue ebrei, laddove la vittima uccide il villano ed attua su se stessa un atto di degradazione materna, nel rapporto con l’ aggressore/vittima. Sarebbe azzardato un paragone biblico, anche se la ricchezza di significati e la mancanza di rifugio in un dualismo manicheistico possono costituire un primo ancorché lontano approdo.
Nell’”Aleph”, imperniato su Beatrice Viterbo, che richiamerebbe sia Beatrice Portinari che Santa Rosa, troviamo nella superba costruzione il richiamo all’ebraismo a partire dal suo oggetto, il quale a sua volta rimanderebbe all’Empireo dantesco. Tant’è universale Borges che in “Funes, el Memorioso”, troviamo un manuale riposto (ancorché involontario) per ricordare la Shoà.
Se Borges aveva a più riprese espresso il suo desiderio di essere ebreo (Fishburn, cit.) bisognerebbe carpirne la ragione; piacerebbe pensare che lo si dovesse ad un’universalità quasi noachide, lui che aveva vissuto la persecuzione e la chiusura del populismo dittatoriale oppure quel desiderio potrebbe essere un portato della sua straordinaria ironia così vicina all’ebraismo, speculare al desiderio di ragionare senza il condizionamento dei manuali e dei codici in cui gli uomini ripongono i loro livori. Borges sentì le guerre d’Israele come proprie e cantò in poemi militanti la resurrezione del popolo ebraico (così, Marcos Ricardo Barnatán, Borges, Biografía total, Madrid, 1995, p. 420); forse aveva sbagliato nell’accomunare ebraismo e intelligenza (Borges, Adolfo Bioy Casares, 2006. p. 1350) ma probabilmente voleva soltanto essere gentile. È un paradosso che Borges abbia desiderato essere ebreo mentre eminenti ebrei avrebbero voluto non esserlo? Nel dubbio, dato che Borges è il più grande di ogni tempo, sarebbe da appurare se sia ancora in tempo per un veloce quanto fruttifero scambio.

Emanuele Calò, giurista