Yom HaZikaron
all’ombra del virus

Il giorno del ricordo delle vittime delle guerre e degli attentati terroristici è il momento sacro di Israele. Il momento in cui un solo grido di dolore fatto di tristi melodie, note trattenute, lacrime di occhi che sanno piangere e occhi abituati a vedere ogni ora della notte, voci che sanno esprimere il sentimento e voci imprigionate dall’impossibilità di gridare la nostalgia, la vita lacerata per sempre dopo la perdita di un figlio, di un padre, di un fratello o una sorella, si fondono insieme in un unico muto suono assordante che avvolge tutto il Paese gridando “perché”, “fino a quando?”. È il giorno in cui le famiglie, gli amici più cari, si raccolgono da ogni angolo del Paese e si abbracciano e si confortano davanti alla lapide, senza parole perché le parole non riescono a descrivere il dolore. Molti genitori visitano i loro ragazzi strappati dalle loro braccia a a 20, 25, 30 anni, ogni settimana, alcuni bevono il caffè del mattino ogni giorno lì accanto a loro. Ma Yom HaZikaron è il giorno in cui il dolore arriva al suo apice. Non importa da quanti anni non siano più con loro fisicamente, si recita il Kaddish con voce sommessa, uno vicino all’altro, spalla a spalla con la famiglia della tomba accanto. Migliaia di famiglie in tutta Israele nei cimiteri di Holon, di Gerusalemme, dei kibbuzim, dei villaggi drusi, si fanno largo col volto sofferente per raggiungere la tomba dei propri cari.
Oggi siamo chiamati a una nuova prova. Non si potrà entrare nei cimiteri. Il contagio per il virus potrebbe essere letale, per tutti. Perché in questo giorno le famiglie di 23816 innocenti non potranno uscire di casa, oltre i 100 metri. Perché Israele non è solo la fonte inesauribile di start up, di innovazione scientifica, di locali aperti non stop. Israele è anche uno dei serbatoi più vasti di dolore, di sofferenza, di sopportazione, di resilienza. Israele si è abituata in questi giorni alle strade silenziose, ai negozi serrati, agli incontri con i nipotini attraverso Zoom e WhatsApp. Si è adattata persino al Seder di Pesach in contumacia….ma Yom HaZikaron no…questo è troppo, dicono le famiglie. E oggi sarà un’altra prova da superare: per coloro che si atterranno alle restrizioni e si struggeranno davanti a una foto, come Etti, vedova, con i figli sparsi in tutto il Paese, che ha preparato nel giardino le sedie per gli amici che vengono ogni anno a unirsi con lei per ricordare Nadav, e le famiglie che andranno lo stesso “perché non potete chiederci anche questo”. Perché è troppo. E sarà una prova per le forze dell’ordine, che hanno ricevuto istruzioni ben chiare: serrare tutte le entrate ai cimiteri, ma non entrare in discussione con le famiglie colpite se verranno in ogni caso. Prove, prove, prove da superare una dopo l’altra, senza tregua, guardando al futuro, con calma, con pazienza, cercando la positività. Dando un significato a tutto ciò che ci sta succedendo in questi giorni per uscirne più forti, più aperti l’uno nei confronti dell’altro. Per affrontare la vita con una nuova saggezza.

Angelica Edna Calò Livne