In ricordo di Marta Ottolenghi Minerbi. La pedagogia del bello
Ninìn bimbo felice, di Marta Ottolenghi Minerbi (edito da Amicucci nel 1956), è un libro importante sotto due diverse angolature. E’ un testo per l’infanzia, come altri ne scrisse questa esperta autrice per bambini, che nella medesima collana ha stampato: La colpa di essere nati, Non è ancora giorno, La scimmiotta Topsy. Per l’infanzia il libro è stato sicuramente concepito, ma è anche una testimonianza di storia. L’autrice guarda al bambino che legge, ma con senso di responsabilità invita a riflettere noi adulti. Questo libro rappresenta l’antefatto di un celebre libro: i diari dell’ebreo torinese Emanuele Artom, da poco ristampati in edizione critica, a cura di Guri Schwarz, per i tipi di Bollati Boringhieri (Diari di un partigiano ebreo, 2008). Avvalendosi con ogni probabilità dell’aiuto della madre dei due bambini, Amalia Artom, a lungo direttrice della scuola ebraica torinese, la Minerbi assolvendo al dovere di compiere innanzitutto un atto di affetto verso una donna ferita due volte nei suoi affetti più cari ha fatto qualche cosa di più. Se Emanuele era stato trucidato dai nazifascisti nel 1944, pochi sanno che il fratello Ennio (il Ninìn del titolo) era deceduto nel 1940 in un tragico incidente alpinistico in valle d’Aosta. Amalia Artom si fece carico della conservazione e poi della stampa sia dei diari di Emanuele (che uscirono in prima edizione nel 1966), sia delle carte di Ennio- Ninìn, genio precoce e versatile, promessa per gli studi matematici (che la Minerbi pubblicò dieci anni prima dei diari di Emanuele). Il libro è composito, assomiglia a un dossier o a un quaderno di lavoro. In teoria si potrebbe decidere di ristamparne solo alcune parti, lasciandone più caduche (forse l’autrice si lasciò prendere la mano dal dovere di inserire tutto, per non urtare la sensibilità della signora Amalia). Nella prima parte si ricostruisce ad uso dell’infanzia la breve vita di Ennio: dall’infanzia alla morte precoce, una biografia tradizionale, sia pure composta in uno stile adatto al pubblico giovane e filtrata attraverso la testimonianza orale della madre. Dei due fratelli bambini si riporta una struggente fotografia, del tutto sconosciuta agli studiosi di Emanuele. Di Ennio sono i deliziosi disegni, che dichiaratamente rinviano ai disegni originali della prima edizione del Giornalino di Gian Burrasca, un modello amatissimo dai due fratelli. Attraverso una prosa nitida entriamo nell’universo famigliare, cogliamo gli aspetti principali dell’educazione ebraica alla libertà e alla serietà del lavoro intellettuale, ma anche l’amore per il bello, per la matematica, per la città di Torino con ghiotte notizie topografiche. Si pone un problema filologico: se queste favole siano state riprese tali quali come Ninìn le aveva scritte o se piuttosto, e in che misura, Ottolenghi Minerbi sia intervenuta per dare forma compiuta a pensieri sparsi, a frammenti, fogli volanti. Come che sia l’esito narrativo è notevole: di buon valore letterario sono soprattutto La leggenda del Mago Maghino, la originalissima Storia di un balbuziente (metafora della diversità) . Una didascalia ci dice che sono pagine scritte da Ninìn mentre frequentava la seconda e terza elementare e questo potrebbe ancora essere l’età di un destinatario odierno. Non è da trascurare, infine, il significato lenitivo di un’opera composta per addolcire il dolore di una mamma e rassicurarla nella vecchiaia. Nulla di lacrimoso: la forza di questa autrice è nella sobrietà.
Albertro Cavaglion, Pagine Ebraiche, febbraio 2010