Mantova letteratura – Al festival con Nadime Gordimer, Daniel Mendelsohn e Gad Lerner

Nadine Gordimer ai giornalisti: “Forse si sta aprendo una nuova stagione per gli ebrei sudafricani”

La seconda giornata del Festival della Letteratura di Mantova parte col botto. L’evento clou della mattinata è infatti l’incontro della stampa con Nadine Gordimer (nell’immagine), premio Nobel per la Letteratura nel 1991. Una donna incredibile, che dimostra molto meno di ottantasei anni (la sua età anagrafica), sia nell’aspetto che nella dialettica. Nata da genitori ebrei, entrambi emigrati in Sud Africa, il padre dalla Lettonia, la madre dall’Inghilterra, dedica gran parte della sua vita (e dei suoi scritti) alla denuncia del regime di apartheid vigente nel suo paese fino a pochi anni fa, con particolare attenzione alla questione delle tensioni morali e psicologiche dovute alla segregazione razziale. Durante l’incontro con i giornalisti vengono affrontate alcune tematiche fondamentali trattate nei suoi libri. Come il tema del “senso di colpa”, per esempio, che contraddistingue molti dei personaggi descritti dalla penna (o dal pc) della scrittrice sudafricana. Quante generazioni saranno necessarie per estinguere il senso di colpa dei sudafricani bianchi nei confronti di quelli neri? È questo uno dei grandi interrogativi della Gordimer, che rimane ancora senza una risposta definitiva. Una questione che peraltro è ancora attuale non solo nella società sudafricana, ma anche in quella tedesca, che non ha ancora rimosso completamente il trauma delle persecuzioni e dello sterminio degli ebrei. “È fondamentale chiedersi che cosa sia davvero questo disagio, se un semplice sentimentalismo oppure uno stimolo per cercare di costruire davvero una società dove gli uomini siano tutti uguali”, afferma la scrittrice. Si parla anche di politica internazionale ed un pensiero non può non andare a Barack Obama, il primo presidente nero degli Stati Uniti. “La sua elezione è un fatto molto simbolico, tuttavia è necessario cercare di essere realisti. Bisogna giudicarlo per il suo pensiero e per le sue azioni, non per il suo ‘sangue’. Sarebbe un errore enorme”, il pensiero della Gordimer. Una riflessione viene dedicata anche alla situazione degli ebrei sudafricani, la cui propensione ad emigrare all’estero è in costante aumento negli ultimi anni. “Ci sono state molte incomprensioni tra istituzioni politiche e comunità ebraica sudafricana negli ultimi tempi. Adesso, con l’elezione di Jacob Zuma, qualcosa potrebbe cambiare. Il neo presidente sta infatti cercando di riallacciare il rapporto con il mondo ebraico, così come con quello islamico, presentandosi come il presidente di tutti, e dunque anche delle minoranze”. Esiste però il rischio che si tratti solamente di un’abile operazione mediatica per tentare di distogliere i media dalle vicende di corruzione che hanno danneggiato la sua immagine nel passato. Di questo la Gordimer è consapevole: “Gli concedo il beneficio del dubbio, la mia è una fiducia a tempo”.

“Il dolore come parte della vita” – Daniel Mendelsohn e Gad Lerner incontrano i lettori

“Voglio convincere il lettore che il esiste un’inspiegabile sofferenza nell’universo. Non tutto ha un lieto fine. Quando riusciremo ad accettarlo vivremo tutti più felici”. Con questa affermazione Daniel Mendelsohn accoglie il pubblico, accorso in massa al Cortile della Cavallerizza del Palazzo Ducale per ascoltare il convegno presieduto dall’intellettuale americano e dal giornalista Gad Lerner. Una grande occasione per conoscere questo eclettico personaggio newyorkese, scrittore di successo, critico letterario e studioso del mondo classico allo stesso tempo, diventato celebre grazie a “Gli scomparsi”, testo che è stato tradotto in quindici lingue e che ha vinto numerosi premi letterari in giro per il mondo. Un libro che affronta la difficile e dolorosa ricostruzione delle vicende della famiglia dell’autore, originaria della Polonia. Un viaggio che porta Mendelsohn in giro per il mondo, dall’America al Medio Oriente, alla ricerca di storie riguardanti i suoi zii materni e le loro quattro figlie, uccise a Bolechow durante l’occupazione nazista. “Mi sono reso conto, fin da piccolo, che la mia famiglia era tormentata da qualcosa di cui non voleva parlare. Ho sentito il desiderio di approfondire la questione e da lì è venuto lo stimolo per iniziare questa lunga e dolorosa indagine”, spiega lo scrittore americano. A Lerner che gli domanda provocatoriamente se non ci sia qualcosa di nevrotico nella sua ricerca maniacale, Mendelsohn ribatte, dimostrando un forte senso dell’humour: “Non credo che esista nessun ebreo che non sia almeno un pò nevrotico”. Finita la parentesi umoristica, la conversazione si fa più seria e sia Mendelsohn che Lerner si scagliano contro i cosiddetti simulacri della memoria, rappresentazioni non veritiere della terribile realtà del tempo. “Non bisogna far sì che nasca una Disneyland della Shoah” è l’appello dei due. Si parla anche del problema della trasmissione della memoria e della veridicità della fonti. Un problema sempre più attuale, visto che gli ultimi testimoni diretti della Shoah stanno scomparendo. “Bisogna dare grande importanza alle fonti scritte ed alle prove documentali”, il messaggio di Mendelsohn, che nello scrivere il suo libro si è basato invece moltissimo sulle testimonianze orali “Non avevo alternative, i miei parenti non sono morti nei campi di concentramento e non esistono molte documentazioni scritte ed una grande storiografia sui massacri compiuti all’infuori dei campi di sterminio”, la spiegazione dello scrittore. A conclusione dell’incontro una breve considerazione sul mondo ebraico italiano da parte di Gad Lerner: “Finora non abbiamo comunicato adeguatamente con il mondo esterno i nostri valori e la nostra storia millenario. Veniamo conseguentemente percepiti in maniera sbagliata, quasi esclusivamente come i difensori di Israele, nel bene e nel male. Dobbiamo aprirci di più, è una necessità assoluta”.

Adam Smulevich