Memoria – Venezia, Gadi Luzzatto Voghera racconta il libro “Ci vediamo a casa, subito dopo la guerra”
Continuano gli appuntamenti legati alle commemorazioni per il Giorno della Memoria con la presentazione del libro Ci vediamo a casa, subito dopo la guerra di Tami Shem Tov, presente in sala, in collaborazione con il museo ebraico di Venezia e con la biblioteca-archivio Renato Maestro. Gadi Luzzatto Voghera ha presentato il libro portando all’attenzione dei presenti…
Continuano gli appuntamenti legati alle commemorazioni per il Giorno della Memoria con la presentazione del libro Ci vediamo a casa, subito dopo la guerra di Tami Shem Tov, presente in sala, in collaborazione con il museo ebraico di Venezia e con la biblioteca-archivio Renato Maestro.
Gadi Luzzatto Voghera ha presentato il libro portando all’attenzione dei presenti, alcuni aspetti chiave del romanzo quali l’uso di un registro linguistico adolescenziale che rende il romanzo uno strumento adatto ad un pubblico giovanile e i presupposti stessi del romanzo, le lettere, che rappresentano un vero e proprio libro nel libro. Anche l’uso che l’autrice fa del tempo è piuttosto particolare con un frequente uso di flashback e ritorni al presente che permettono al lettore di passare dal periodo precedente all’invasione dei nazisti al momento della fuga e della clandestinità. Un altro aspetto fondamentale è rappresentato dai caratteri umani, vissuti realmente, ma che l’autrice non ha avuto l’occasione di conoscere e che però traspaiono in modo chiaro dal romanzo.
Il romanzo prese forma a partire dalla proposta, giunta da un editore, di scrivere un romanzo basato su una storia vera, Tami si dimostrò subito interessata al progetto e decise di visionare le carte relative alla vicenda, una raccolta di lettere di un padre olandese a sua figlia, nascosta presso alcune famiglie in Olanda durante il periodo della Shoah. Dopo aver letto gli scritti originali, conservati al museo del Kibbutz Lohamei Hageta’ot, accettò l’offerta. Nili Goren, la bambina diventata ormai donna a cui erano dirette le lettere, si era mostrata positiva rispetto alla possibile trasposizione della sua storia in un romanzo, ma sentiva il bisogno di conoscere prima la persona che l’avrebbe scritto. “Avevo paura – dice Tami – che mi dicesse che il mio stile non era adatto, o che ero troppo giovane, troppo israeliana”. Tami si trovò invece davanti ad una persona disponibile, generosa e piena di amore per la vita, che riuscì inoltre a comprendere l’esigenze specifiche della scrittrice. La Shem-Tov cominciò così a frequentare l’anziana signora con regolarità recandosi anche in Olanda a conoscere la famiglia e gli amici. Quando finì di stendere la prima bozza la fece leggere a Nili che commossa affermò che tutti i suoi sentimenti di bambina erano di colpo riemersi grazie a quel libro.
Nili Goren, all’anagrafe Jacqueline van der Hoeden, ormai settantaseienne e abitante a Haifa racconta: “Il mio è stato un buon olocausto, sono stata fortunata. Ho sempre detto che per me l’olocausto è iniziato il giorno in cui i nazisti hanno abbandonato l’Olanda e ho scoperto che mia madre era morta”. Durante l’ultimo anno dell’occupazione tedesca dell’Olanda, Lieneke sopravvisse nutrendosi di bulbi di fiori e mangime per animali, ma alla fine riuscì a salvarsi. Con la sua nuova identità cristiana poté frequentare le scuole, celebrare le feste e giocare con i figli dei vicini, “Ma durante tutto quel periodo – ricorda Nili – ero sempre preoccupata per mio fratello, le mie sorelle e i miei genitori, sapevo però di dovermi comportare bene come ringraziamento verso le persone che mi nascondevano e che per questo correvano un tremendo pericolo”.
Il libro racconta di una corrispondenza tra la giovane Lieneke e lo zio Jaap nell’Olanda del 1943. La bambina legge e rilegge attentamente le lettere ricevute, sa che dovrà memorizzarle perché verranno presto bruciate e o stracciate in mille pezzi affinché non ne rimanga traccia, per occultarne il contenuto. Nessuno deve sapere che Jaap in realtà non è suo zio, ma suo padre e che lei non si chiama Lieneke, bensì Jacqueline. La protagonista a soli dieci anni è costretta a fuggire da Utrecht, sua città natale, a separarsi dalla famiglia e a nascondersi in un piccolo villaggio a casa del dottor Kohly e di sua moglie, che fingono di essere gli zii.
Jacqueline dovrà mentire sulla sua identità, mentire ai compagni di scuola, ai contadini del villaggio, ai vicini di casa, persino agli altri ebrei nascosti nei dintorni. L’unica sua speranza è di poter rivedere un giorno la sua famiglia che rivive attraverso le lettere del padre, arricchite da disegni di fiori, animali, allusioni a un periodo diverso, più felice. Sono queste ad aiutare la bambina a sopportare la paura, la fame e la mancanza della sua famiglia.
Ci vediamo a casa, subito dopo la Guerra non è un’altra storia per bambini che tratta il tema della Shoah, ne un altro Diario di Anna Frank. Ne è esattamente l’opposto, non solo perché l’eroina sopravvive, ma anche perché è un inno all’amore paterno e al valore degli affetti familiari.
La storia della piccola Lieneke viene raccontata in maniera efficace e avvincente da parte di Tami Shem-Tov, una giornalista navigata che ha già pubblicato due libri, il primo di questi premiato come il miglior libro per ragazzi nel 1998.
Michael Calimani