Memoria – Firenze, 12 mila studenti con i sopravvissuti
Claudio Martini, presidente della Regione Toscana, sale con passo spedito i gradini che lo portano sul palco del Mandela Forum. L’incedere è sicuro. La voce, invece, tradisce una certa emozione. “Quale altra regione italiana – si chiede con orgoglio – riesce a organizzare eventi come questo?”. Quasi 12000 studenti battono i piedi e applaudono. Il governatore commenta: “Questa è la Toscana migliore, di oggi e di domani”. Provenienti da istituti scolastici sparsi su tutto il territorio dell’ex Granducato, i ragazzi sono pronti ad assistere a quello che forse è il più importante degli eventi organizzati dalla Regione nell’ambito delle celebrazioni per la Giornata della Memoria. La più sentita tra le circa 300 iniziative di vario genere che sono state patrocinate dall’ente. “Nessuna scontata – spiega il direttore generale del dipartimento istruzione e cultura Ugo Caffaz – e nessuna banale” Di banale, volendo, c’è solo il Male. Ed è proprio questo il tema centrale dell’evento svoltosi all’ex palazzetto dello sport, luogo d’incontro che porta il nome di Nelson Mandela, uomo simbolo della lotta al razzismo, e probabilmente gremito come in poche altre occasioni. Introdotti dal flauto itinerante di Enrico Fink, che porta di gradinata in gradinata le melodie della tradizione ebraica, salgono sul palco i protagonisti di questa giornata di meditazione e ricordo, presentati ai ragazzi dallo stesso Caffaz, che prima di prendere il microfono in mano confessa ai suoi collaboratori di avere “i polsi che gli tremano”. Prima edizione del meeting sulla Memoria con gli studenti (2006): 8000 spettatori. Seconda edizione (2008):10000 spettatori. Terza edizione (2010):12000 spettatori. Breve cronaca di un grande successo. Un numero di partecipanti che fa accapponare la pelle, un’iniziativa che non ha eguali in Toscana e forse neanche in Italia. Nella terra che per prima ha lanciato i Treni della Memoria.
Si spengono le luci e viene proiettato il video racconto Riflessioni sulla Shoah, scritto da Moni Ovadia e interpretato da alcuni tra gli artisti più amati dai giovani: Luciana Littizzetto, Antonio Albanese, Jovanotti, Ligabue. C’è anche Shel Shapiro, ex cantante dei The Rokes. Ligabue legge Niemoller, teologo e pastore protestante tedesco internato a Dachau.
Quando vennero a prendere i comunisti, io non dissi niente
perché non ero comunista.
Quando vennero a prendere i socialisti e i sindacalisti, io non dissi niente
perché non ero né socialista né sindacalista.
Quando vennero a prendere gli ebrei, io non dissi niente
perché non ero ebreo.
Quando vennero a prendere me, non era rimasto più nessuno
che potesse protestare.
Un paio di ragazzine urlano “Liga sei bellissimo”, ma sono solo voci isolate. Più in generale regnano attenzione e solennità. Evitando una triste competizione per decretare a chi appartenga il primato del dolore e della sofferenza, è risultata apprezzata la scelta di ricordare con pari dignità non solo le vittime di religione ebraica, ma anche coloro che persero la vita per altre “colpe”. Ebrei, omosessuali, rom, oppositori politici: quella del Mandela Forum è stata una giornata all’insegna della Memoria condivisa.
Annunciato dal calore degli applausi, arriva il momento dei sopravvissuti. Molto significativa la presenza di Boris Pahor, scrittore triestino di etnia slovena e autore del libro Necropoli, romanzo autobiografico sulla sua prigionia a Natzweiler-Struthof. Questo lucidissimo novantasettenne, infatti, è il testimone oculare delle vessazioni subite dalla minoranza slovena negli anni del fascismo. Vessazioni di cui ben poco si sa e che in parte ancora resistono. Per capirlo basta attingere alla sua storia personale. I libri di Pahor, infatti, apprezzati in tutto il mondo, sono stati ignorati dall’editoria italiana per lunghissimo tempo, praticamente mai pubblicati (salvo qualche piccola casa editrice locale) fino al 2008. Cioè quando non è stato più possibile chiudere gli occhi sul clamoroso riscontro internazionale che i suoi scritti stavano ottenendo. Le piccole e grandi umiliazioni subite dagli sloveni ai tempi del regime sono un colpo alla coscienza di chi per lungo tempo ha fatto finta di niente.
Ad un filmato, invece, è stato affidato il ricordo ed il messaggio di Imre Kertész, premio Nobel per la Letteratura nel 2002 e deportato sia ad Auschwitz che a Buchenwald, campo da cui uscì ridotto ad uno scheletro, ultimo superstite di una famiglia numerosa. Segnato a vita da quell’esperienza, ammette di tornare con la mente ad Auschwitz “ogni volta che penso a un nuovo romanzo”.
Presenti al Mandela, le sorelle Andra e Tatiana Bucci, scampate ai forni di Auschwitz, ed il pratese Marcello Martini, rinchiuso a Mauthausen dopo essere stato precedentemente internato a Fossoli. C’è anche un commosso Piero Terracina, che in un paio di occasioni si lascia andare al pianto. “Noi che siamo riusciti a sopravvivere – urla – abbiamo il dovere di testimoniare ma anche di gridare”. Gridare contro il negazionismo, sempre più di moda, e gridare contro il revisionismo storico. E contro chi si lascia incantare dallo stereotipo “italiani brava gente”. Perché non fu sempre così.
Caffaz chiama sul palco Amos Oz, al suo secondo giorno in Toscana. Dopo essere stato insignito della laurea honoris causa dall’Università per Stranieri di Siena, l’intellettuale israeliano riceve le Chiavi della città dal sindaco Matteo Renzi. “Questo vuol dire che posso entrare a Firenze anche alle tre di notte?”. Scherza, ma poi si fa serio: “Il male non è mai banale. Non credete dunque alla banalità del male. Ciascuno sa cos’è il dolore, anche un bambino di tre anni. E se fa del male a qualcuno è consapevole del male che procura”. Gli applausi sono scroscianti e Oz, che il giorno prima aveva spiegato di provare molta empatia con il popolo dello Stivale, si rivolge nuovamente ai ragazzi: “La vostra generazione mi dà una grande speranza. Avete tre meravigliosi patrimoni da tutelare saldamente e tenere cari: la tolleranza, la curiosità e il senso dell’umorismo. Non ho mai visto un fanatico con il senso dell’umorismo né un uomo con il senso dell’umorismo diventare fanatico. Il senso dell’umorismo è il nostro vaccino contro il male”. Perché una persona curiosa, tollerante e che sa ridere di sé “non manderà mai nessuno alla camera a gas”.
Le sue parole chiudono la giornata, il pubblico comincia a defluire. Entro poche ore il 27 gennaio 2010, sessantacinquesimo anniversario dalla liberazione di Auschwitz, sarà terminato. E a qualcuno che si chiede come sarà possibile portare avanti con la stessa intensità ed in date non istituzionalizzate il ricordo di ciò che fu, Caffaz risponde: “Qua non sarà difficile. In Toscana abbiamo preso l’impegno di fare Memoria 365 giorni all’anno”.
Adam Smulevich