Memoria – Venezia, la Shoah e le intolleranze di oggi

Una sala gremita di spettatori accoglie la cerimonia ufficiale del Giorno della Memoria al teatro Goldoni di Venezia. In apertura gli interventi del presidente della Comunità ebraica di Venezia, Vittorio Levis e del sindaco di Venezia, Massimo Cacciari.
Nel suo discorso Levis si è interrogato sul senso del Giorno della Memoria. Burocraticamente lo stato italiano ha decretato che l’anniversario della liberazione del campo di Auschwitz fosse dedicato al ricordo della Shoah, delle leggi razziali e della deportazione. La legge è nata in un momento di travaglio politico quando ancora erano forti le voci negazioniste e in questo modo si è pensato di poter contribuire alla conoscenza diffusa dei fatti che hanno straziato l’Europa.
Oggi tornano spesso nell’agenda politica e nel sentire comune, temi quali la convivenza, l’accettazione del diverso e il reciproco rispetto. Questo all’indomani di un ritorno di sentimenti e pulsioni profonde che prima non avevano il coraggio di manifestarsi e che ora, avvertendo un clima diverso, non hanno vergogna di venire allo scoperto. In questo senso il giorno della memoria acquisisce oggi un significato profondo.
Lo scopo finale da prefiggersi è di passare dalla conoscenza dei fatti criminali della Shoah, delle complicità e delle amnesie che l’hanno accompagnata alla comprensione delle logiche che hanno prodotto e accelerato questa tragedia, facendo maturare una coscienza collettiva che sappia collegare le motivazioni che hanno prodotto l’olocausto, con le intolleranze e le tensioni sociali di oggi.
Il sindaco Massimo Cacciari, con il suo intervento, ha cercato di smarcarsi da un punto di vista comune che tende a esteriorizzare il dramma della Shoah: “Più che una giornata per ricordare è una giornata per gettare uno sguardo insieme a voi nell’abisso che ci tocca e ci riguarda tutti. Non si ricorda se non ciò che si comprende, ciò che non si è capito o che si cerca di non capire è facile preda dell’oblio”.
Si è parlato della Germania, un paese dove l’intelligentia ebraica aveva raggiunto picchi di eccellenza, e da dove è inevitabilmente partita la fiamma che ha divorato L’Europa intera. Non una follia, ma un’organizzazione politica nel senso europeo del termine: burocrazia, organizzazione e tecnica al servizio di un disegno criminale. Un disegno politico razionalmente perseguito, senza nessuna casualità, definito con precisione, dovizia di particolari e portato avanti con procedure tecnico-tattiche.
Da una parte la normalità delle tante famiglie tedesche e non che vedevano e sapevano, l’assuefazione al male e la naturale servitù che risiede nel cuore dell’uomo, dall’altra il progetto politico che non viene combattuto sul nascere, che non viene estirpato fin dal primo esprimersi. Ricordare è dire a noi stessi che dobbiamo essere pronti a sradicare il male ovunque si annunci e con qualsiasi volto si presenti.
Le celebrazioni sono continuate poi con lo spettacolo “Salonicco ’43”, pièce teatrale di Ferdinando Ceriani. Uno spettacolo suggestivo interpretato da Massimo Wertmüller, Evelina Meghnagi e Carla Ferraro, e dedicato al dramma della deportazione che interessò, a partire dal 1943, gli ebrei della città greca. La vicenda vede come protagonista il console italiano a Salonicco, Guelfo Zamboni, funzionario fascista che sconvolto dall’atrocità di quanto stava accadendo si attivò con energia e coraggio per sottrarre a questo destino quanti più ebrei poteva, fornendo documenti falsi affinché si mettessero in salvo dopo avere raggiunto Atene sotto le false generalità di cittadini italiani. Grazie alla sua lista, Zamboni riuscì a salvare centinaia di ebrei e per questo venne insignito dallo stato d’Israele del titolo onorifico di giusto fra i giusti.

Michael Calimani