Noterelle – Giuseppe Mazzini e gli “stolidi buoni”

Vorrei dedicare questo mio primo testo, anacronisticamente, a Giuseppe Mazzini, alle sue amicizie ebraiche, i Nathan-Rosselli, gli Usiglio, Angelo soprattutto, detto amichevolmente “il mio Angelo custode” (compare quasi in ogni lettera alla madre, quando descrive i suoi sforzi per trovare a Londra un’abitazione e poi un lavoro). Contrariamente a quanto solitamente si dice, Mazzini possedeva sense of humour, ma anche pregiudizi verso gli ebrei. Per esempio confida alla madre il dubbio di venire avvelenato la prima volta in cui viene invitato a desinare in casa degli antenati dei fratelli Rosselli (“Non mangerò se non dopo ch’essi avranno mangiato, porterò con me contravveleni”).
I modi per definire gli ebrei in Italia mi incuriosiscono sempre. Gli stolidi buoni, scrive Mazzini. Gli stolidi buoni. Trovo seducente, ancorché enigmatica, questa espressione scelta per la cerchia londinese dei Rosselli. Gli stolidi buoni. Così, il 10 dicembre 1840, a proposito di Usiglio, si dice che aveva trovato aiuto “precisamente in quella famiglia di stolidi buoni dei quali v’ho raccontato il pranzo; gli frutta poco ma siccome sono buona gente, e pare gli prendano affezione, spero che andrà migliorando più sempre la sua posizione”.
Nel clima, spesso avvelenato, del dialogo odierno fra ebrei e cattolici trovo bellissima questa formula. Stolidi, non perfidi. Soprattutto, “buoni”. Non mi sembra abbia perso d’attualità, anche se qualcuno la troverà maliziosa. Gli ebrei italiani sono diventati più irritabili, forse perché scarseggiano amici dotati, al pari di Mazzini, di affezione ed eguale senso dell’umorismo. Personalmente non mi offenderei se qualcuno dicesse dei miei libri – o delle cose che verrò scrivendo su queste colonnine – che sono opera di “uno stolido buono”.

Alberto Cavaglion