L’attualità del pensiero di Hans Jonas, il filosofo che interroga sull’etica e l’ambiente

“Un volume per addetti ai lavori” così Roberto Franzini Tibaldeo ricercatore alla Scuola Internazionale di Alti Studi della Fondazione Collegio San Carlo, definisce il suo libro La Rivoluzione ontologica di Hans Jonas che analizza un volume filosofico di Hans Jonas The Phenomenon of life mettendolo in rapporto con gli scritti giovanili. Quello che ne esce è un corposo studio che getta un fascio di luce sul pensiero di un filosofo che vale la pena approfondire (al grande filosofo tedesco è dedicata fra l’altro l’associazione culturale presentata in questi giorni a Roma alla Camera dei Deputati).
Hans Jonas nasce nel 1903 a Mönchengladbach (in Westfalia) suo padre ha una fabbrica tessile, che era stata fondata nel 1815 dal bisnonno di Hans, Benjamin Jonas, sua madre Rosa, musicista, proviene dalla vicina Krefeld ed è figlia del rabbino liberale, Jakob Horowitz. Hans si forma in ambiente protestante cattolico, l’iniziale passione per la pittura viene soppiantata da quella per la filosofia e per la teologia. Ama Platone e Kant, ma legge anche “Discorsi sull’ebraismo” di Martin Buber e studia la Bibbia da autodidatta. Negli anni in cui studia all’università di Freiburg, segue il seminario “per principianti” tenuto dal giovane docente Martin Heidegger, che condizionerà profondamente il suo pensiero fino a quando nel 1933 l’avvento al potere di Hitler, la nomina di Heidegger a rettore dell’Università di Freiburg (21 aprile 1933), e la sua adesione al partito nazional-socialista (1 maggio) segnano l’irrimediabile allontanamento dal Maestro, e “il fallimento della filosofia intera” (come egli stesso osserva). E’ sempre di questi anni il contatto con un’altra figura fondamentale della sua vita: tra gli studenti, fa conoscenza di un’ebrea diciottenne di Königsberg, con la quale avrebbe stretto un’amicizia profonda e importante, Hannah Arendt
La critica ad Heidegger segna il passaggio dalla prima alla seconda parte della vita di Jonas che contemporaneamente all’amore per la filosofia matura la propria fede sionista, coltivando il sogno di trasferirsi e stabilirsi in Palestina. Dopo il ’33 infatti lascia la Germania facendo la solenne promessa di non farvi ritorno che in seguito alla “distruzione dell’hitlerismo” ed emigra a Londra, poi finalmente nel’35 corona il sogno di recarsi in Palestina. Aderisce all’Haganah e, negli anni della Seconda Guerra Mondiale, fa parte anche della Brigata ebraica che lo coinvolge in spedizioni in Belgio, Olanda e Italia.
Al termine della Guerra Jonas insegna all’Università Ebraica di Gerusalemme(1945), alla McGill University di Montreal (1949), al Carleton College di Ottawa (1950). Nel 1953, dopo anni di precarietà fu nominato docente di filosofia presso la prestigiosa Graduate Faculty of Political and Social Science della New School for Social Research di New York, dove ha modo di sperimentare un’autentica libertà del pensiero, avendo modo di entrare nel vivo del dibattito socio-politico-culturale statunitense ed europeo.
A partire dal 1967 inizia a occuparsi di questioni di bioetica, quali la morte cerebrale e i trapianti d’organi. Nel 1971, 1976 e 1977 interviene in comitati etici del Senato americano e dello Stato della California su questioni di genetica e sulla relazione tra sapere scientifico ed interesse pubblico.
I riconoscimenti ufficiali alla sua opera sono dela fine degli anni Ottanta: tra il 1982 e il 1983 viene nominato primo Eric-Voegelin-Gastprofessur presso l’Università Ludwig-Maximilian di München, nel 1984 ottiene il Premio Dr. Leopold Lukas della facoltà teologica evangelica dell’Università Eberhard-Karl di Tübingen, poi il dottorato honoris causa presso l’Università di Konstanz (1991) e presso la libera Università di Berlin (1992). Il 5 febbraio 1993, qualche giorno dopo aver ricevuto il Premio Nonino, muore nella propria casa a New Rochelle.
Roberto come e perché ti sei avvicinato alla figura di Hans Jonas?
Ho incontrato il nome di Hans Jonas una decina d’anni fa a proposito di questioni di etica dell’ambiente. Mi sono infatti imbattuto nel suo volume più celebre, “Il principio responsabilità”, e l’ho trovato di assoluto interesse, non solo per gli specialisti di filosofia, ma per tutti coloro che volessero riflettere sui compiti etici che si profilano oggi all’umanità, compiti che ci vedono tutti coinvolti e con un ruolo da svolgere. La tesi di fondo del volume – quella che mi colpì per la sua lucidità e per il suo vigore – è che negli ultimi secoli l’umanità ha conosciuto livelli inauditi di sviluppo tecnologico, che hanno dato all’uomo la possibilità di intervenire in ambiti e settori dapprima impensati (ad es. a livello di manipolazione genetica). Inoltre, gli effetti di tale sviluppo tecnologico si accumulano nel tempo, ricadendo in diversa misura sull’ambiente e ponendo la questione della sostenibilità ambientale di tale sviluppo. Va da sé, dunque, che sia necessario reperire dei limiti per tale sviluppo. A partire dagli anni Settanta del secolo scorso vi fu tutto un movimento che pose l’accento, appunto, sui “limiti dello sviluppo”. Ciò che caratterizza la posizione filosofica di Jonas è il tentativo di reperire un motivo, che fosse ben fondato, per giustificare la necessità di porre tali limiti allo sviluppo. Egli reperì tale giustificazione introducendo il principio etico della responsabilità, come quel principio che doveva guidare l’azione umana non solo nel suo aspetto individuale, ma anche in quello collettivo e politico. L’umanità di oggi non può permettersi né deve impoverire il patrimonio ambientale che sosterrà la vita dell’umanità di domani. Nella sua azione, l’umanità di oggi deve avere in mente la propria responsabilità per l’umanità di domani, vale a dire per le future generazioni. L’umanità di oggi deve consegnare ai propri posteri un mondo nel quale valga la pena vivere, non un mondo in cui la vita sia impossibile o non degna di essere vissuta.
Mi è poi venuta la curiosità di leggere anche altri volumi di Jonas, oltre a “Il principio responsabilità” e così mi sono imbattuto in “Organismo e libertà”, che ne è il diretto antecedente e che contiene alcune delle premesse filosofiche indispensabili per comprendere le posizioni de “Il principio responsabilità”. Così ho deciso di concentrare le mie attenzioni su “Organismo e libertà”, che era un volume relativamente poco noto al pubblico italiano, e non solo. L’occasione per svolgere questa ricerca mi è stata offerta da un dottorato di ricerca che ho svolto presso la Fondazione San Carlo di Modena, ricerca che ho discusso nel 2005 e che ho pubblicato di recente proprio nel volume “La rivoluzione ontologica di Hans Jonas”. L’obiettivo della ricerca era di capire da dove nasceva l’interesse di Jonas per l’etica e, più nello specifico, quali fossero le fondamenta filosofiche e le ragioni su cui poggiava la sua idea di responsabilità. La risposta – la semplifico per esigenze di sintesi – è che l’idea jonasiana di responsabilità è essenzialmente indirizzata alla tutela del vivente da parte dell’uomo, che tra tutti i viventi è quello che ha coscienza della propria libertà. A sua volta, la tutela del vivente richiede che si tutelino le condizioni particolari che la sostengono, vale a dire la vita naturale e l’ambiente nel suo complesso. La libertà umana dunque si caratterizza per il fatto di essere intrinsecamente e originariamente intrecciata con la responsabilità. Inoltre, la libertà umana ha anche il compito di non lasciarsi sviare dal proprio compito responsabile dalle tentazioni e dalle lusinghe della tecnologia contemporanea, che cercano di far dimenticare alla libertà il proprio legame consustanziale con il senso del limite e con l’idea di responsabilità.
Che cosa ti affascina della sua filosofia?
L’impressione che ebbi non appena cominciai a leggere le sue opere, impressione che via via si rafforzò, era che mi trovavo di fronte a un pensatore e a un uomo straordinario. A differenza da molti pensatori della filosofia occidentale che erano ricaduti in uno sterile intellettualismo e il cui pensiero era un’occasione per distogliersi dal mondo reale, nel caso di Jonas era esattamente l’opposto: il pensiero filosofico traeva sempre spunto da questioni storiche, reali, o da problematiche esistenziali, culturali e politiche specifiche. L’elaborazione teorica e la riflessione filosofica non allontanavano il pensatore dalla vita, ma al contrario gli fornivano gli strumenti per comprenderla più a fondo e per agirvi più responsabilmente.
Del resto, nella propria vita Jonas (1903-1993) non era stato un pensatore che si era limitato a contemplare il mondo dalla finestra di casa sua. In più circostanze si era trovato ad assumere scelte coraggiose e dolorose, come quando da giovane iniziò a frequentare ambienti sionisti, o quando nel 1933 decise di lasciare la Germania nazista e di rompere con il proprio Maestro, Martin Heidegger, che invece al nazismo aveva aderito. In tempo di guerra, poi, Jonas non si limitò a sostenere la causa degli alleati a distanza, ma si arruolò nell’esercito britannico e si adoperò affinché venisse istituita una brigata ebraica, che raccogliesse e mobilitasse attivamente le energie di quegli ebrei che volessero attivamente contribuire alla vittoria. Anche dopo la guerra Jonas ebbe modo di mostrare di che tempra fosse fatto. Avendo saputo nel 1945 che sua madre era stata trucidata ad Auschwitz, decise che non avrebbe mai più potuto far ritorno nel proprio paese, dove pure negli anni che seguirono gli furono offerte possibilità di carriera e cattedre universitarie. Jonas si stabilì con la moglie dapprima in Palestina e poi decise di emigrare oltreoceano. Anche in questa decisione – che deve essere stata per lui sofferta, poiché richiese di mettere in secondo piano il suo credo sionista, o quanto meno di rivederne la portata – si rivela la tempra risoluta e coraggiosa dell’uomo e del pensatore. Egli approdò in Canada alla fine degli anni quaranta del secolo scorso senza un’occupazione e forte solo del suo acume filosofico. Le tematiche di cui si era occupato precedentemente (la gnosi tardo-antica) furono accantonate a favore di compiti filosofici da lui ritenuti più urgenti: la comprensione dell’essere del vivente e l’individuazione dei compiti etici per l’umanità contemporanea.
Insomma, più venivo a conoscere la figura di Jonas e più ne apprezzavo la stretta relazione tra pensiero e azione.
Quale messaggio ritieni il più attuale fra quelli che ci rimangono di questo filosofo?
Tra tutti, forse l’invito alla prudenza. L’umanità di oggi ha assunto un potere smisurato, proprio grazie all’impiego della tecnologia. Tuttavia, non sempre le modalità di gestione di tale potere lasciano ben sperare per il futuro. L’umanità ha estremo bisogno di riflettere sulle ragioni della propria esistenza e del proprio convivere. Così come, ad avviso di Jonas, l’uomo di oggi ha estremo bisogno di interrogare il senso del proprio esistere e di riconoscere che nella sua vita, così come nell’avventura cosmica della vita, è in gioco qualche cosa che eccede il mero senso di ciò che si dà a vedere. Attraverso l’esistenza umana e l’esistenza del cosmo si lascia intravedere un valore più grande e più profondo, un valore che in sintesi può dirsi trascendente e che chiede all’umanità che venga custodito e non deturpato o compromesso in maniera irreversibile.
Quali sono i fili salienti del pensiero di Jonas e quale ti senti maggiormente di abbracciare?
La parabola filosofica di Jonas copre un arco temporale assai lungo e conosce diverse fasi. Una prima nella quale egli si occupa, con Bultmann e Heidegger, di religioni antiche e di gnosi tardo-antica, escogitando un innovativo metodo interpretativo del fenomeno gnostico che ne riconduce l’essenza a una forma di irriducibile dualismo tra ciò che è spirituale e ciò che è materiale. Nella seconda fase Jonas si occupa della questione della vita e cerca di indagarne l’essere. Si cimenta anche con l’essere di quel particolare vivente che è l’uomo, essere libero e spirituale, ma anche biologico e materiale, che si trova a vivere con coscienza dissidi, contrasti, scissioni e dilemmi. Nella terza fase Jonas declina le precedenti questioni antropologiche e biologiche in senso ontologico ed etico, vale a dire interrogandosi sul fondamento del principio di responsabilità, che deve essere assunto a principio fondamentale della condotta umana nel suo complesso.
Come si vede, al di sotto dell’eterogeneità di temi è possibile intravedere un filo rosso che si dispiega e che è sempre incentrato sull’analisi, in prospettiva contemporanea, del modo d’essere specifico dell’uomo in rapporto alla propria interiorità e al mondo in cui vive. Da questo punto di vista una delle questioni che torna a più riprese, sempre declinata in maniera diversa, è il rapporto tra conoscenza teorica e azione pratica. Si tratta di una questione articolata e complessa, che non è possibile liquidare una volta per tutte. In ogni caso, la co-appartenenza delle due nell’essere umano fa di Jonas un pensatore di estremo interesse che sfugge ai due estremi dell’intellettualismo, da un lato, e di forme di appiattimento della conoscenza teorica sulla prassi, dall’altro lato.
A quale pubblico pensi di indirizzare il tuo studio? A chi consiglieresti di leggere il tuo libro e perché?
Come tutte le pubblicazioni frutto di ricerche di dottorato, il mio libro è un lavoro tecnico e destinato prevalentemente agli addetti ai lavori. Lo standard accademico italiano richiede infatti che una pubblicazione di carattere scientifico risponda ad alcuni canoni filosofico-teoretici (cioè che si mostri un’idea e la si sviluppi) e ad altri di carattere storico-filosofici (cioè che si mostri la genesi storica, documenti alla mano, di un’idea filosofica). Questo è ciò che ho tentato di fare a proposito del pensiero di Hans Jonas e alla posizione occupata nel suo pensiero dalla riflessione sul concetto di vita e di vita umana. Era una riflessione che, in questi termini, ancora mancava nel panorama scientifico italiano e internazionale. Così ho pensato di proporla e di renderla disponibile innanzitutto per il mondo scientifico e accademico che se ne potrà avvalere per ulteriori ricerche.
Ho comunque cercato di esprimere i concetti in maniera il più possibile chiaro; ciò anche per esigenze didattiche, oltre che per “deformazione professionale” (di mestiere sono infatti insegnante nelle scuole superiori). Molte volte mi capita infatti di riscontrare che i volumi filosofici sono eccessivamente “esoterici”, vale a dire scritti in maniera tale che possano essere compresi dai soli addetti ai lavori. In effetti, certe tematiche e certe questioni sono davvero comprensibili da quelle poche persone che ne sono appassionate o che hanno gli strumenti adeguati. Eppure, è anche vero che chi scrive e pubblica un testo deve sempre porsi come obiettivo quello di cercare di farsi capire dal più ampio numero di persone possibile, ciò indipendentemente dall’argomento trattato. Spero di esserci riuscito nel mio libro, che dunque si rivolge non solo ai filosofi professionisti, ma a tutti coloro che fossero interessati nei temi trattati, in specie agli insegnanti e agli studenti universitari.

Lucilla Efrati

La rivoluzione ontologica di Hans Jonas. Uno studio sulla genesi e il significato di “organismo e libertà”, Mimesis, Milano 2009, collana “Itinerari Filosofici”, pp. 432.
Roberto Franzini Tibaldeo (1973) è dottore di ricerca presso la Scuola Internazionale di Alti Studi della Fondazione Collegio San Carlo di Modena. Ha approfondito il nesso tra nichilismo, tecnica ed etica in rapporto ad autori quali Giacomo Leopardi, Emanuele Severino e Hans Jonas. Ha trascorso periodi di ricerca presso l’Università di Konstanz (Germania), dove è conservato il lascito degli scritti jonasiani.