Qui Roma – Università di Tor Vergata, Walter Veltroni e il ricordo della Shoà

Proseguono gli incontri di riflessione, promossi dalla facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Tor Vergata e dal Centro Romano di Studi sull’Ebraismo (CeRSE), in vista del Giorno della Memoria. Martedì 1 Dicembre, alla presenza di circa 250 studenti delle scuole romane, e di molte autorità accademiche, Walter Veltroni – in veste di copresidente del Summit dei premi Nobel per la Pace – è intervenuto sul tema: “Auschwitz e il principio di responsabilità civile, morale e politica oggi”. L’incontro, come ha spiegato nell’introduzione Marina Formica, docente di Storia moderna e vicepreside della facoltà di Lettere e Filosofia, si inserisce in un’idea precisa: quella di arrivare al Giorno della Memoria avendo compiuto, in via preliminare, un’esperienza di approfondimento e riflessione. Veltroni è il politico che prima di altri ha mostrato una sensibilità particolare nei confronti del tema della Memoria legata alla Shoà e della trasmissione di questa stessa Memoria ai giovani, come dimostra il progetto di viaggi ad Auschwitz, da lui portato avanti, dal titolo: “Noi ricordiamo”, esperienza di “viaggio-conoscenza” con le scolaresche romane nei campi di concentramento. “Noi”, d’altra parte, è anche il titolo del suo ultimo romanzo che ripercorre, attraverso quattro generazioni, la storia del nostro paese a partire proprio dalla deportazione degli ebrei romani il 16 ottobre del ’43 fino ad un ipotetico futuro nel 2025.
In questo contesto, Marina Formica ricorda anche l’impegno dell’Università di Tor Vergata nei confronti del ricordo della Shoà. Affermandosi come luogo deputato alla ricerca e richiamandosi a valori etici imprescindibili per ogni genere di formazione, l’Università ha anch’essa organizzato i viaggi negli ex campi di concentramento, oltre che lezioni e incontri volti a sensibilizzare gli studenti su questo tema. La finalità è di evitare di “storicizzare Auschwitz” per non considerare il nazismo come uno di tanti fenomeni di intolleranza del passato, ma come un evento particolare dopo il quale “niente sarà più come prima” come afferma una frase “lapidaria” interna al romanzo “Noi”.
Nel corso della mattinata, Riccardo Pacifici, presidente della Comunità Ebraica di Roma, ha sottolineato l’importanza di saper raccontare il dramma della Shoà alle nuove generazioni, non solo sotto l’aspetto delle emozioni, nel momento in cui non ci sarà più il contributo dei sopravvissuti- testimoni. L’immagine sempre viva della Shoà deve servire quale costante “anticorpo” ai diversi tipi di razzismo che ciclicamente si ripresentano nella storia sotto forme diverse. Se già con Francesco Rutelli i viaggi ad Auschwitz hanno preso il via, il merito del progetto istituito da Veltroni è stato, tuttavia, quello di organizzare tra le scuole romane un vero e proprio “Percorso della Memoria” che prende l’avvio sin dall’inizio dell’anno scolastico e che vede la partecipazione di docenti e studenti, prima, durante e dopo il viaggio con una serie di attività complementari che si concludono con l’anno scolastico stesso. In quest’ottica, un percorso parallelo è quello dei “Giusti” avviato dalla Regione Lazio che intende ricercare in ogni provincia quelle famiglie di non ebrei che a rischio della loro vita hanno salvato famiglie di ebrei, per dimostrare che, nonostante i regimi totalitari, la paura e i rischi, alcuni hanno potuto rendere salva la vita degli ebrei perseguitati. Altro aspetto importante dell’ex sindaco di Roma, sul quale si è soffermato Pacifici, è il lavoro portato avanti con tenacia per istituire il Museo della Shoà a partire dal quale si potranno affrontare tanti temi come quello di immaginare di spiegare la Shoà cercando di controbattere alle assurde tesi negazioniste.
Walter Veltroni ha preso la parola partendo da un quesito primario: l’inspiegabilità fondamentale di quello che è accaduto. Come Auschwitz sia potuto accadere, non lo si può mai spiegare completamente. Per questo, promuovere la ricerca e la riflessione su tale tema può anche essere l’antidoto a che qualcosa del genere possa riprodursi. Infatti, molti dei fattori socio-politici che portarono all’avvento del nazismo e del fascismo possono ripresentarsi ciclicamente nella storia quando una serie di circostanze si mettono in moto e delineano una società della paura e della diffidenza. Nei periodi di crisi in cui ha predominato l’incertezza sociale, hanno potuto essere varate ad esempio le leggi razziste del 1938 ed è potuto accadere che milioni di persone, tra cui bambini, fossero deportate, torturate e uccise in una Europa, per altri aspetti, moderna e civilissima. Tutto ciò è accaduto col consenso della maggior parte dell’opinione pubblica. Così quando più di mille ebrei del ghetto di Roma furono portati via nel 1943 il paese non si ribellò, Roma non è insorta perché avevano deportato dei suoi cittadini. Condizioni sociali e storiche hanno, quindi, acconsentito che questo avvenisse e predominassero il delirio e la follia di chi voleva diventare padrone del mondo. Del suo nuovo libro Veltroni rievoca una sola immagine, una fotografia di venti bambini di nazionalità diversa con il braccio alzato. Da qui prende spunto il racconto della baracca dei bambini a Birkenau, tra i quali venti furono usati come cavie umane dal dottor Mengele e infine uccisi orrendamente come il piccolo Sergio De Simone, unico italiano del gruppo. Questa triste vicenda è emblematica della misura di disumanità raggiunta in un’epoca in cui fu messa in azione la più tecnologica macchina di eliminazione di massa contro un’intera popolazione e contro tutti coloro che venivano considerati, in molti modi, “diversi”. In questo senso, nulla è paragonabile alle proporzioni della Shoà. L’idea della superiorità della propria ideologia su coloro che sono ritenuti inferiori o diversi, e che pertanto vadano eliminati, continua a riaffiorare ancora oggi nelle varie forme di intolleranza, di integralismo religioso fino ad arrivare al caso limite degli attentati terroristici.
Proprio per questo, afferma Veltroni, in un mondo globalizzato e in una società sempre più multietnica, abbiamo bisogno di “costruire ponti”, vie di comunicazioni “in equilibrio fra identità e apertura” imparando ad ascoltare. Il rischio e il paradosso è che “all’interno di questo unico universo scatti un elemento identitario nemico delle altre identità” che possa portare nuovamente ad una chiusura nella presunzione della propria superiorità ideologica. Questo può accadere anche quando una società perde il senso della memoria storica e finisce col perdere anche una parte di se. La memoria, dice Veltroni, non va contemplata soltanto quando si è vecchi, va coltivata da subito in quanto elemento essenziale di ciò che siamo e senza la quale saremmo “un’epidemia di Alzheimer” e finiremmo come il computer di una scena finale del film di Kubric: “2001. Odissea nello Spazio”. La memoria va visitata “senza pregiudizi e mettendo insieme razionalità ed emozioni, senso delle cose con senso di umanità”.
Dio non può essere considerato l’arbitro assoluto della storia umana – ha proseguito – gli esseri umani hanno la loro responsabilità persino nello sconfiggere Dio: “per me, cercare di capire Auschwitz è cercare di capire il senso stesso della nostra esistenza, come può l’essere umano negare l’esistenza degli altri”? Da questa prospettiva, proseguire la ricerca della verità, e dei responsabili dei crimini contro l’umanità, non è accanimento nei confronti di persone ormai anziane, ma si configura come un dovere nei confronti dei milioni di morti della Shoà. Esemplare è il caso di Simon Wiesenthal, il “ricercatore di nazisti” in tutto il mondo, che non ha potuto continuare a vivere la sua vita, dopo Auschwitz, come se nulla fosse stato. Infatti, Veltroni cita le stesse parole di Wiesenthal, “quando noi superstiti saremo nell’Aldilà i morti ci chiederanno: tu che hai fatto”? C’è chi risponderà di aver venduto case, chi di essere stato impiegato e così via, ma c’è chi, come Simon Wiesenthal, alla domanda su cosa abbia fatto in vita vuole rispondere: “Io non vi ho dimenticati”! Questa è stata l’ossessione della vita e della morte di Primo Levi, il quale era consapevole che raccontare fosse un compito difficile. L’insegnamento che se ne può ricavare è che dopo Auschwitz abbiamo il dovere di “non considerarci mai superiori a nessuno almeno nel senso dell’esclusione, del rifiuto di capire, ascoltare e cambiare noi stessi” per quel che è possibile.
Walter Veltroni conclude il suo intervento, davvero coinvolgente, con un riferimento a Barak Obama: “Nessuno più di lui racconta la storia di cosa è stata l’umanità, gli schiavi, l’attraversamento degli oceani”… Simbolo dell’affermazione di una cultura diversa, auspicata già da Martin Luther King con le parole, ancora astratte, pronunciate quasi cinquanta anni fa nel suo celebre discorso del 1963: “I have a dream”. In quell’epoca negli Stati del Sud, in particolare in Alabama, era impossibile per un nero prendere lo stesso autobus di un bianco, andare all’Università o sedersi sulla stessa panchina. Eppure quelle parole finirono per cambiare il mondo.

Maria Rita Salustri