Sostenere Israele con parole, gesti e azioni

Non si aiuta Israele parlando in prima persona, con tanti “io” e molti aggettivi possessivi – come se la questione fosse una faccenda personale. E tanto più grave è che in questi interventi di Ugo Volli, che si ripetono oramai da mesi, più o meno sempre uguali, vengano usati toni irritantemente vittimistici e viscerali. Sembra che le parole non siano il risultato di una riflessione, ma vengano lanciate contro l’interlocutore o il lettore. Mirare alle viscere, piuttosto che al cuore e alla ragione, non è solo rischioso, ma è anche profondamente deleterio.
Imprudenti e inappropriati sono termini come “pazzo criminale dalle parti di Teheran”, “matti in giro” per i neonazisti o addirittura “dementi” per i fascisti che hanno minacciato Riccardo Pacifici. Perché vuol dire già in qualche modo assolverli escludendoli dall’universo della ragione. La sconsideratezza arriva poi a tirare in ballo Umberto Eco che nella “Bustina di Minerva”, pubblicata nell’Espresso del 20 maggio 2010 prende posizione contro il manifesto, firmato da Gianni Vattimo, per boicottare le università israeliane. Accusare qui Eco che motivo avrebbe? Questi interventi non servono a pensare; sono solo distruttivi.
Difendere, sostenere, aiutare Israele è tutt’altro. Lo si può fare con parole, gesti, azioni. E forse i modi meno chiassosi e appariscenti sono anche i più preziosi ed efficaci. Basterebbe che ciascuno, e ciascuno a proprio modo, realizzasse ogni giorno una piccola cosa per Israele. Oppure raccontasse di Israele – per spiegare anche a chi non lo sa (o non lo vuol sapere) quanto sia fondamentale per il mondo la sua presenza.

Donatella Di Cesare, filosofa