L’ebreo Barenboim rompe a Ravello il tabù Wagner

Ravello – Arriva trafelato. Completo bianco, passo veloce come il ritmo delle sue parole. Il tempo è poco ma alla fine tutto è pronto. a fortemente voluto questo fuori programma deciso in dieci giorni e organizzato a tempo di record, compresa la diretta della rete televisiva franco-tedesca Arte. Due date qui a Ravello, nei giardini di Villa Rufolo, luogo magico e musicale, legato a Wagner e a Goethe, due autori con cui Daniel Barenboim ama dialogare.
A Wagner è dedicato il primo concerto. Overture dei Maestri cantori di Norimberga, Preludio e morte di Isotta, il primo atto di Walchiria. Una sfida, un tabù da rompere per lui e per la sua orchestra che mai prima d’ora aveva suonato soltanto brani del compositore tedesco profondamente antisemita.
«La decisione di non suonare più Wagner fu presa da quella che adesso si chiama Orchestra Sinfonica di Israele 70 anni fa, esattamente il 9 novembre 1938. Quella è la data della notte dei Cristalli, quando sono stati bruciati i libri ebrei e la Sinagoga in Germania.
Da quel giorno i musicisti che poi avrebbero dato vita all’Orchestra sinfonica di Tel Aviv, hanno deciso di non suonare più Wagner che per loro rappresentava quanto di pi orribile potesse esistere. Non è stato dunque qualcosa di imposto dall’alto. Quello che succede oggi è quasi un’ironia del destino: dei musicisti israeliani che per suonare Wagner hanno bisogno dell’appoggio di colleghi arabi. Con un’orchestra solo israeliana questo non sarebbe stato possibile». Ebreo, nato a Buenos Aires 66 anni fa, a dieci anni si trasferisce con i genitori entrambi musicisti, in Israele. Ed è qui che conosce l’intellettuale palestinese Edward Said, scomparso nel settembre del 2003. Con lui nel 1999 a Weimar fonda la West-Eastern Divan Orchestra. 130 musicisti, età media 20 anni, provenienti da Israele, dai territori occupati, dalla Palestina, dalla Siria, dall’Egitto, dalla Giordania, dal Libano e naturalmente da Israele.
«La musica ha in sé qualcosa di sovversivo» diceva Said. «La cultura favorisce i contatti tra le persone e le avvicina, promuovendo la tolleranza» scrive Barenboim. E per questo che è nata l’orchestra del «Divano occidentale-orientale». Il nome viene da una raccolta di poesie di Goethe pubblicata nel 1819 dove letteratura occidentale ed orientale coesistono. Il progetto dell’orchestra segue questa strada tracciata da Goethe e la declina facendo suonare e convivere musicisti provenienti da paesi nemici.
«Il nostro conflitto, il conflitto israelo-palestinese, non è un conflitto normale, politico – afferma Barenboim – Non nasce dal controllo del petrolio, o del gas. Questo è un conflitto umano, nel senso che ci sono due popoli entrambi profondamente convinti di avere il diritto di vivere sullo stesso pezzo di terra. Gli uni lo chiamano Israele, gli altri lo chiamano Palestina. Ora, mentre un conflitto politico si risolve con la diplomazia o con la guerra, un conflitto umano si risolve solo quando c’è l’accettazione della logica dell’altro. Ed è questo il tema del nostro progetto. Non vogliamo arrivare a mettere tutti d’accordo.
I ragazzi che da anni suonano nella West-Eastern Divan Orchestra non sono d’accordo l’uno con l’altro. Per hanno imparato ad accettare la logica narrativa dell’altro. In questo la musica dà una lezione meravigliosa perché quando si suona in un’orchestra si deve suonare con il massimo attenzione a quello che si fa. Ma nello stesso tempo si deve ascoltare anche quello che suona l’altro. E questa è una straordinaria lezione di vita. Avere qualche cosa di importante da dire ma ascoltare anche quello che dice l’altro».
Leggendo il suo ultimo libro La musica sveglia il tempo, uscito un anno fa per Feltrinelli, lei parla della musica come una delle chiavi, insieme alla filosofia e alla politica, per capire la realtà. Si capisce anche che la sua passione civile e il suo amore per la conoscenza sono profondi. Se non avesse fatto il musicista che cos’altro avrebbe potuto fare?
«Veramente non me lo sono mai chiesto. Sono nato in una famiglia di musicisti. I miei genitori insegnavano pianoforte. E ogni volta che qualcuno arrivava a casa nostra era per prendere lezioni sia da mia madre che da mio padre. Si può dire che da bambino io non abbia mai conosciuto qualcuno che non suonasse il pianoforte e per molto tempo sono stato convinto che tutto il mondo suonasse il pianoforte. Non ho mai dovuto sforzarmi per esprimermi attraverso la musica. Questo tipo di educazione, la creazione di uno spazio mentale per poter fare la musica, io già l’avevo. Questo naturalmente non vuol dire che io sia meglio o peggio degli altri».
Qual è l’obiettivo, il messaggio politico e sociale che avete voluto e volete dare con la vostra orchestra?
«Il messaggio è semplice. E un messaggio contro l’ignoranza. E un messaggio che dice: non c’è una soluzione militare a questo conflitto. Dunque dobbiamo cominciare e capire l’altro. Non soltanto quello che pensa, ma perché lo pensa. Imparare ad accettare la logica di questo pensiero, anche se non siamo d’accordo. E la musica è meravigliosa perché quando questi ragazzi provano per 7/8 ore al giorno, tutti i giorni, suonando e ascoltandosi gli uni con gli altri, e poi si ritrovano la sera, a cena, con lo stesso nemico che suonava insieme a loro nell’orchestra, non possono ignorarlo».
Lei trasmette una grande energia, una grande forza nella sua convinzione di poter riuscire a cambiare la percezione che hanno di loro stessi questi ragazzi israeliani e palestinesi. E la convinzione che attraverso la musica si possa esprimere la volontà di cambiare il mondo. E quello che nel libro chiama «ottimismo volontario». Pensa che sia realmente possibile?
«Non lo so, ma per me è molto importante. In questo sono molto egoista. Penso a me stesso, penso che devo fare questo, penso che voglio farlo e penso che questo progetto sia in grado di cambiare la vita di tutti coloro che lo fanno con me. La vita di questi giovani musicisti è cambiata dal giorno in cui hanno cominciato a entrare in questo progetto».

Laura Cannavò – Il Riformista – 15 agosto 2008