11 settembre / fascismo
Una data importante nella recente memoria collettiva, quella dell’11 settembre. Ci vorrà ancora molto per capire che cosa ha significato quell’attentato, ma l’evento è certo uno spartiacque importante. Tra le tante cose che segnala è il reingresso, prepotente, nella storia, del fattore religioso come causa, cemento o scusa per i grandi conflitti. Dobbiamo rapportarci a questo dato, con la nostra identità religiosa, non solo con l’allarme ma anche con il richiamo alle responsabilità. Tra due giorni leggeremo nella Torà il famoso brano che ci impone di ricordare “cosa ti ha fatto Amaleq”, il persecutore infame per eccellenza. Senza vittimismi, retorica, assolutismi o relativismi, polveroni, polemiche, assoluzioni, ma come dice la Torà, prima di tutto con l’esercizio della memoria.
Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma
Il problema del fascismo è tornato ad occupare le prime pagine dei giornali. Ignoro se si tratti di parole in libertà, sentimenti profondi, oppure di un profilo culturale meditato. Forse sono anche le uscite di qualcuno che ha soprattutto il problema di sapere chi è, visto che ha dichiarato di essersi “liberato” della propria identità culturale e politica precedente, ma allo stesso tempo non averne scelta chiaramente un’altra.
Tuttavia, a me sembra che il problema sia più profondo e non sia solo di chi ha rilasciato dichiarazioni su Porta San Paolo, su quelli della Nembo e sul fascismo. Il problema è anche nel silenzio complessivo di un’area politica, che rappresenta quell’ampia fascia degli “spettatori”, della “zona grigia”, che non reagisce o fa “spallucce”, perché convinta che non schierarsi, rappresenti il punto di equilibrio, pensando così di proporsi come la “zona morale” di un Paese che comunque ha risorse migliori, di quelle dei suoi politici, a qualunque fede politica si richiamino.
Una convinzione che ha il suo fondamento teorico nel disprezzo della democrazia e che è riassunta in forma impeccabile dal giudizio sulla democrazia espresso da Leo Longanesi: “La parola “democrazia” – scrive Longanesi – mi destava una insofferenza fisica, come l’odore stantio dei vecchi cassetti o l’alito guasto di certe vecchie; sentivo nell’aria un odore di muffa, di umida miseria, un odore di cavoli lessi nelle scale della nuova società, come in certe vecchie portinerie, un odore di farisei. Poi scoprii che corrispondevano a un mio giudizio storico e morale”. (Un morto fra noi, Longanesi, Milano 1952, p.79).
Si può dire meglio e più sinteticamente?
David Bidussa, storico sociale delle idee