20 settembre / l’ultimo ghetto

Tra qualche polemica e qualche manifestazione è passato come al solito praticamente trascurato l’anniversario del 20 settembre, in cui l’Italia laica e risorgimentale dovrebbe ricordare la Breccia di Porta Pia. Per gli ebrei romani e italiani questa data dovrebbe dire qualcosa di più e speciale, la fine dell’ultimo Ghetto italiano (e dell’Europa civile). C’è da chiedersi perchè non sia festeggiato da noi. Ce lo siamo chiesti questo Shabbat dopo aver letto la terribile parashà di Ki Tavò, quella che annuncia con ampi dettagli la triste sorte del nostro popolo in conseguenza della sua infedeltà. In queste pagine della Torà c’è forse la risposta, nella frase che dice “non troverai riposo”. Perchè il 20 settembre è stato l’inzio della libertà tanto agognata, ma anche l’inizio della grande illusione di aver trovato finalmente riposo (finita con le leggi razziali, ma poi ripresa) e l’inizio di una fuga tanto rapida quanto radicale dall’identità ebraica. Il problema di allora come di oggi è di saper conciliare la libertà con l’ebraismo. Mantenendo sempre un senso critico e vigile per quanto avviene intorno a noi.

Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma

Che a Roma, per commemorare il 20 settembre, si renda onore ai gendarmi pontifici caduti, è cosa talmente ridicola da non meritare nemmeno lo scandalo. Eppure, come diceva ieri in Sinagoga Rav Di Segni, sarebbe bene che gli ebrei romani si ricordassero un po’ di più del 20 settembre, perchè è la data della loro emancipazione, la data in cui hanno cessato di essere sottoposti a discriminazioni, di essere obbligati a vivere in ghetto. In cui sono diventati cittadini. Questa cittadinanza non l’hanno ottenuta da Pio IX, ma la debbono alla caduta del potere temporale dei papi, al compimento dell’Unità italiana. Quei soldati caduti, che i rappresentanti della città di Roma hanno ieri voluto ricordare, sono caduti per difendere l’esistenza del ghetto, e l’ineguaglianza dei cittadini.

Anna Foa, storica