vanagloria/verdetto
“…. Tutti coloro che si occupano di questioni pubbliche lo facciano in nome del Cielo…”(Pirqè Avòt, 2;2). Nella Tradizione ebraica fare qualcosa “in nome del Cielo” significa essenzialmente agire disinteressatamente e senza secondi fini. Molto spesso ci sono motivi sotterranei, anche inconsci, semiconfessabili e talvolta inconfessabili, che ci inducono a occuparci della cosa pubblica. Talvolta si diventa parte di meccanismi che ci impediscono di analizzare le diverse sfide psicologiche e i trabochetti che incontriamo per non cadere preda della vanagloria. I Maestri hanno messo in guardia che ” colui che corre dietro la fama, la fama scappa via da lui, e colui che la sfugge, la fama lo segue”. Si narra la storia di uno che tentava di impressionare tutti con la sua umiltà e faceva domande a un anziano rabbino circa la validità di questo detto talmudico. “Io corro sempre lontano dalla fama – protestava – come è che succede che la fama non sembra correre dietro di me?” “La fama – rispose il rabbino anziano – corre dietro solo a coloro che la evitano e non si girano continuamente indietro per vedere se lei li sta seguendo…”.
Roberto Della Rocca, rabbino
Il 17 settembre il tribunale di Catania ha assolto il giovane Rom che il 15 maggio era stato accusato di avere tentato di rapire, assieme ad una ragazza Rom, una bimba di tre anni nell’area di parcheggio di un ipermercato di Catania. L’episodio, forse lo ricorderete, aveva scatenato dei veri e propri pogrom a Ponticelli, con violenze e distruzione dei campi Rom. La sentenza del tribunale sembra ora considerare questa accusa come totalmente falsa. Significativo che la stampa, che aveva dato molto spazio al presunto rapimento, non dia alcuna pubblicità a questa sentenza assolutoria. I casi sono solo due: o i tribunali italiani assolvono i rom che tentano di rapire i bambini, o l’accusa è falsa, il risultato di paure alimentate da leggende e superstizioni. Tertium non datur.
Anna Foa, storica