collettività/crisi economica
“…Hillel dice: non ti separare dalla collettività…” (Pirqè Avòt, 2; 4 ).
Il concetto di collettività viene espresso in questo insegnamento con la parola “tzibbùr” acronimo delle parole tzadikìm, giusti, benonìm, mediocri, e reshaìm, malvagi. La convinzione che ogni Comunità sia costituita dalla fusione di queste tre categorie di persone ha portato Rabbì Shimòn Chasidà ad affermare che “ ..ogni digiuno pubblico nel quale non sono presenti dei trasgressori non è da considerarsi un digiuno…. (Keritòt, 6 b)”.
Non esiste nella nostra tradizione una lista di buoni e di cattivi. Il rilievo dato dall’ebraismo al ruolo che riveste ogni singolo individuo nella totalità è evidente nella preghiera pubblica che può aver luogo solo in presenza di un miniàn,il quorum di 10 uomini adulti. Di questo concetto, in cui ogni persona assume il senso della propria complementarietà al tutto, se ne ritrova una trasposizione metaforica anche in molti dei precetti cui si deve informare la vita di ogni ebreo, come nel caso del “mazzetto del Lulav” nella festa di Sukkòt (Capanne), con il suo essere oggetto e simbolo nell’unione necessaria di 4 piante diverse ma complementari.
Non a caso le Tefillòt di Yom Kippur hanno inizio con una sorta di “lasciapassare” per i trasgressori!
Roberto Della Rocca, rabbino
Nel ’29 non c’ero ma questa crisi dei mercati non sembra aver nulla da invidiare alla precedente. E’ un gran tohu vavohu dove scorrono fiumi di numeri e parole. Che ci faccio qui? Mi dico. Una parola in più o in meno non serve a nulla. Men che meno la mia. Meno male che noi, per così dire intellettuali, veniamo spesso additati per il nostro linguaggio astruso, così lontano dalla realtà: per quanto mi riguarda, i commenti a questa crisi mi paiono o assolutamente banali (“Una cosa mai vista”: grazie, ma non c’era bisogno dell’analista di livello per saperlo) oppure del tutto indecifrabili nel loro linguaggio in codice. Che bella sarebbe, ogni tanto, una via di mezzo. A proposito di via di mezzo, in questo precipitar di borse il papa dichiara che i soldi non sono niente, che conta solo la parola di Dio. Parole forti, dure, quasi con un sogghigno.
Non sta a me ribattere a tanta autorità. Ma sento vagamente che la mia identità – che pure è stata esclusa quasi per antonomasia, lungo secoli e millenni – non è propensa a chiamarsi fuori dal mondo con tanto slancio. Prima di invocare una salutare distanza da quel che succede, prima di additare la colpa collettiva, prima di rivendicare un fiero separatismo da tutto ciò che è mondano, la mia identità prova a interrogarsi, a interrogare quel mondo di cui, nonostante una millenaria storia di esclusione, si sente pienamente parte.
Nel bene e nel male.
Elena Loewenthal, scrittrice