Quale futuro per l’ebraismo. La ricetta di Bronfman
Edgar Bronfman, industriale, grande benefattore ed ex dirigente del Congresso mondiale ebraico ha recentemente rilasciato al New York Times un’intervista per presentare il suo nuovo, controverso libro dedicato al suo modo di vedere il futuro del popolo ebraico. Eccone il testo.
Come ex dirigente della Seagram e filantropo miliardario che ha speso gran parte della propria fortuna per combattere l’antisemitismo in tutto il mondo, Edgar Bronfman, lei ha appena scritto un libro (“Hope, not fear”, “Speranza non paura”, 240 pagine St. Martin’s Press – New York) in cui si dice favorevole ad un neogiudaismo che sciolga le regole della rigida osservanza, accolga i convertiti e abbia poco a che vedere con le sinagoghe.
Non so se lo chiamerei neogiudaismo. La componente ebraica tradizionale deve essere preservata, ma la sua attitudine deve cambiare. Invece di perdere tante persone che escono dalle comunità a causa di matrimoni misti, abbiamo bisogno di accogliere. Credo che se desideriamo veder crescere l’ebraismo, dobbiamo cominciare ad accettare il matrimonio misto così com’è.
Forse il suo sostegno al matrimonio misto deriva dal fatto che lei ha sette figli con a loro volta mariti e mogli di diverse religioni. Da quanti matrimoni?
Due.
Pensavo di più.
Beh, ho avuto tre mogli.
Nel suo libro lei tenta di definire l’ebraismo al di là dei suoi principi religiosi.
Non ho la fede per credere nel D-o dell’Antico Testamento. Ma sono felice del mio ebraismo, anche senza questo.
Se togliamo l’elemento spirituale dall’ebraismo, però, cosa resta? Qualcuno potrebbe dire che ciò che rimane è archeologia, solo ossa nel deserto.
Ma questo è un problema loro. Rimane la nostra etica, la nostra morale. E’ stata la nostra gente ad elaborare un concetto come i Dieci comandamenti, e la civiltà, ovunque, si basa sui dieci comandamenti. Chiunque li abbia scritti, e noi crediamo sia stato Mosè, possedeva una grande saggezza.
Ma ogni religione si basa su un diverso sistema etico.
Ora, è vero. Ma noi siamo stati i primi.
Perché è importante per lei che l’ebraismo sopravviva?
Ci sono tanto problemi su cui dobbiamo intervenire. Per esempio Darfur, la Cambogia, il Ruanda. Dopo il nostro olocausto ci sono state altre stragi. Dobbiamo essere i primi ad alzarsi in piedi e dire che ciò è inaccettabile. Ma non lo facciamo. Diciamo “mai più” solo per noi. Dobbiamo dire no per tutti.
Lei vota per i Democratici?
Dipende da chi è il candidato Repubblicano. Ora sono un Democratico. Voterei per Topolino piuttosto che per John McCain e Sarah Palin.
Perché lei finanzia le cause ebraiche invece di progetti rivolti al sociale ma non esclusivamente ebraici?
Non ci sono molti ebrei in giro per il mondo in grado di capire che noi siamo in crisi. E non siamo in crisi a causa dell’antisemitismo, ma perché stiamo scomparendo a causa dell’assimilazione.
Come può dire che l’antisemitismo non costituisce più una minaccia?
Credo che ciò si sia reso evidente quando, nel 2000, Al Gore perse le elezioni presidenziali e nessuno disse che ciò era accaduto perché Joe Libermann, il suo candidato alla vicepresidenza, era un ebreo.
Lei è cresciuto in Canada, a Montreal, negli anni ’30 e ’40. Era osservante?
No. Quando io avrei dovuto essere in sinagoga il sabato, mio padre andava in ufficio. Cosa gli facesse pensare che io sarei andato a pregare mentre lui lavorava questo lo sa solo il cielo.
La rivista Forbes l’ha da poco elencata tra le 105 persone più ricche degli Stati Uniti, con un patrimonio stimato intorno ai 3,5 miliardi di dollari. E’ vero?
Non l’ho visto, e non commento.
Ma si tratta di una stima corretta?
Non ne ho idea, non faccio questi calcoli.
Ha perso molto a causa della crisi finanziaria dell’ultimo mese?
Non lo so, non faccio stime giorno per giorno.
Come si sente quando perde in affari?
Ci passo sopra velocemente.
Non le viene l’ulcera?
Dò ragione a mio padre, quando diceva “non mi faccio venire l’ulcera, la faccio andare via”.
A settantanove anni lei beve whiskey o altri prodotti della Seagram?
Una volta alla settimana. Il venerdì, prima di cena. Mi piace il Chivas Regal.
Cosa si augura per l’anno ebraico 5769, che è appena cominciato?
Di continuare a fare ciò che sto facendo. Alla mia età credo sia abbastanza.
intervista di Deborah Salomon per il New York Times
(versione italiana di Nathania Zevi)