continuità/assenza
“…in un posto dove non ci sono uomini sforzati a essere uomo…”(Pirqè Avòt, 2; 5)
In questi giorni ci troviamo nel passaggio dalla conclusione allla ripresa del ciclo annuale della lettura della Torà. Simchat Torà infatti è un gioire per un compimento continuamente aggiornato, di una lettura senza pause e senza interruzioni, che ricomincia sempre da capo.
I Maestri di Israele, anche nelle più tremende sofferenze come durante la persecuzione romana o nei campi di sterminio, hanno sempre continuato a studiare e a vivere la Torà nella convinzione che questo impegno costituisse il modo più autentico per conservare quella dignità umana così vilmente lesa. La Torà quindi intesa come continuità che proibisce ogni interruzione. E’ proprio questa rinnovata ricongiunzione di Israel (Israele), ultima parola della Torà, con la parola Bereshit (In Principio), prima parola della Torà, che ci ricorda costantemente che il nostro lavoro non è mai finito e che vivere è un inizio continuo.
Roberto Della Rocca, rabbino
Quando abbiamo pensato a questa rubrica alef/tav, che nasce dall’idea di un confronto fra persone diverse, ci siamo domandati senza trovare una risposta che cosa sarebbe avvenuto se per un motivo o per l’altro uno degli autori avesse mancato
all’appuntamento. Non era mai accaduto prima di oggi. E avviene oggi con la giustificabilissima assenza temporanea di Anna Foa, proprio lei che assieme al Rav Di Segni aveva consentito la nascita di questo spazio di confronto. Che fare? Sospendere, in attesa del suo rientro? Spegnere anche l’altra delle due voci del giorno? Lasciarla risuonare da sola, rinunciando a un controcanto? Ho piuttosto deciso di sostituire indegnamente, per una volta, uno degli scritti di Anna. Per ringraziarla di quanto ha fatto. E per ricordare l’esigenza di un legame indissolubile che connette ogni ebreo di fronte alla vita. Nel bene e nel male, nei momenti di dolore e in quelli lieti, ognuno di noi ha bisogno degli altri. Altrimenti le pagine della nostra esistenza ebraica rischiano di non vedere mai la luce. O comunque di uscire irrimediabilmente incomplete.
Guido Vitale, giornalista