cambiamento/prigionieri
“Possiamo cambiare”. Un ottimo slogan per definire Abramo, che dalla lettura biblica settimanale di ieri compare sulla scena. Abramo riesce ad abbandonare tutto ciò che appartiene al suo passato ed alla sua formazione per affermare un’idea assolutamente nuova. Secondo la tradizione midrashica riesce anche ad elevarsi al di sopra delle stelle per osservare con distacco ogni forma di determinazione naturale.
Benedetto Carucci Viterbi
Nella settimana che ci ha preceduto, molti hanno ricordato la Prima guerra mondiale con toni di grande rispetto. Ma la storia non si racconta solo scegliendo il lato dell’onore. Dopo 90 anni bisogna anche raccontare in pubblico la storia del disonore.
Seicentomila furono i soldati italiani fatti prigionieri. Una condizione, quella dei prigionieri di guerra, contrassegnata di fatto dall’ abbandono del Comando supremo di quei militari ancora soldati e considerandoli, invece, traditori. Così non solo non arrivarono pacchi viveri ai prigionieri italiani per la costante opera di deterrenza e di sabotaggio da parte delle autorità militari italiane che avrebbero dovuto garantire i soccorsi ai prigionieri italiani nell’ ambito della commissione internazionale di Berna, preposta al soccorso degli internati, una commissione cui prendono parte i rappresentanti militari di tutti i paesi belligeranti. La cosa non cambia dopo la guerra. Anzi quando i prigionieri verranno liberati, sapendoli ostili allo Stato Maggiore proprio per il suo disinteresse precedente, il generale Diaz chiederà che siano avviati verso la Libia e non fatti rientrare in Italia.
Nell’esaltazione del ritrovato orgoglio della guerra vinta novanta anni fa nessuno ha ricordato questa storia. Che, peraltro non fu un’eccezione e che, infatti, si ripeté alla fine della Seconda guerra mondiale. Anche allora, di nuovo i campi prigionieri, in Gran Bretagna erano pieni di italiani. Ma anche allora lo Stato li abbandonò. Il rientro fu lento e comunque la diplomazia italiana – ancora fedele alla monarchia – fece di tutto perché il rientro avvenisse dopo il referendum del 2 giugno. Ad avere rancore per un regime e per il Re che li aveva abbandonati a se stessi erano in troppi. Meglio che il loro voto non pesasse sul risultato finale del referendum. Anche questa è una storia che nessuno racconta.
David Bidussa, storico sociale delle idee