Il Presidente 110 e lode
“Tra i popoli italiano ed ebraico si sono intrecciati fili antichi, fili nuovi, egualmente robusti e vitali. Essi costituiscono una vera e propria comunanza di valori, nel segno della pace, della libertà e della giustizia”. Così il Presidente Giorgio Napolitano ha definito il particolare rapporto che lega il popolo italiano a quello ebraico, nel ricevere la laurea honoris causa in filosofia, all’Università di Gerusalemme.
Nel lungo, commosso discorso il Presidente Napolitano ha anche affrontato il problema mediorientale, lanciando il seguente monito: “Palestinesi ed arabi devono affrontare il nodo del pieno riconoscimento dello Stato di Israele, per superare il conflitto israelo-palestinese e porre le condizioni di un pacifico sviluppo del Medio Oriente”.
Questo il testo della motivazione con cui viene conferita la laurea al Presidente Napolitano:
Il Senato dell’Università Ebraica di Gerusalemme rende omaggio a Giorgio Napolitano
Presidente della Repubblica italiana
Il Presidente Giorgio Napolitano, uno dei più rispettati leader e intellettuali d’Europa, è un eminente statista i cui molti sforzi nel guidare la sinistra italiana verso un percorso di crescita e di maturazione hanno condotto all’allargamento dell’arco dei partiti democratici, e a una più alta qualità del dibattito politico nel suo Paese. Risoluto amico di Israele e del popolo ebraico, egli ha coerentemente difeso il diritto di Israele a vivere in pace e sicurezza ed è una voce chiara e risoluta contro il terrorismo e l’antisemitismo.
Giorgio Napolitano è nato a Napoli dove nel 1942, studente del primo anno di università, si è unito a un gruppo di giovani antifascisti. Nel 1945 è entrato a far parte del Partito Comunista Italiano e ha proseguito la sua attività come parlamentare nella Camera dei Deputati per dieci legislature consecutive, dal 1953 al 1996. Guidando la dissociazione del suo partito dalla rigida ideologia dell’epoca sovietica, Giorgio Napolitano lo ha indirizzato verso la democrazia sociale europea e in particolare verso il sostegno all’integrazione europea e a più profondi legami con il mondo occidentale. Di fatto, guidando la sinistra italiana alla convivenza e al confronto civile con le altre forze politiche dell’arco parlamentare, Giorgio Napolitano ha, fin dagli anni ottanta, facilitato il pieno inserimento dei partiti di centro-sinistra nell’assunzione di responsabilità nel Governo italiano. Nel 1991, in seguito allo scioglimento del Partito Comunista Italiano, Giorgio Napolitano ha iniziato la sua opera nel Partito Democratico della Sinistra. In tutti gli anni della sua presenza in Parlamento, e a fianco delle sue ricche attività intellettuali e dei suoi scritti, egli ha dato prova di essere un fedele difensore della democrazia parlamentare, raccogliendo larghissimi consensi nello svolgimento di alti incarichi, fra cui quelli di Presidente della Camera dei Deputati e di Ministro degli Interni. Nel 2005, Giorgio Napolitano è stato nominato Senatore a vita e il 15 maggio 2006 è stato eletto alla carica di Presidente della Repubblica.
Nel corso degli anni, il Presidente Napolitano ha ripetutamente dato dimostrazione del suo impegno per la salvaguardia della pace e della sicurezza dello Stato d’Israele, spesso distaccandosi dalle linee ufficiali del partito e sfidando i giudizi dei suoi compagni. Così è stato quando, dopo la sua visita in Israele come ospite dell’Università Ebraica di Gerusalemme negli anni ottanta, il Partito Comunista Italiano seppe assumere posizioni nuove e autonome sul Medio Oriente. Giorgio Napolitano è stato anche uno schietto difensore degli Ebrei sovietici desiderosi di immigrare in Israele. Egli ha costantemente condannato ogni manifestazione di terrorismo, ha ospitato molti incontri fra Israeliani e Palestinesi alla ricerca di una soluzione al conflitto medioorientale sulla base del reciproco riconoscimento, e ha spesso fornito agli Israeliani la possibilità di spiegare la loro posizione alla sinistra italiana. Il Presidente Napolitano è una figura di spicco nella battaglia in atto in Europa contro la negazione dell’Olocausto, e nei suoi numerosi interventi contro l’antisemitismo, Egli ha saputo acutamente rilevare le connessioni che spesso esistono fra posizioni anti-ebraiche e anti-israeliane.
In riconoscimento al suo speciale contributo ai principi della democrazia e con gratitudine per la sua calorosa e costante amicizia verso il popolo ebraico e lo Stato di Israele, il Senato ha deciso di conferire a Giorgio Napolitano il titolo di Doctor Philosophiae Honoris Causa dell’Università Ebraica di Gerusalemme e con questo Egli è investito di tutti i diritti e i privilegi connessi al titolo di Dottore.
Conferito a Gerusalemme il giorno 27 Novembre 2008
Il Presidente
Menachem Magidor
Il Rettore
Sarah Stroumsa
Lectio Magistralis del Presidente Napolitano in occasione del conferimento della Laurea Honoris Causae
“Italia, Israele, Europa : Stati nazionali e identità nazionali ieri e oggi”
E’ con profonda riconoscenza ed emozione che accolgo questo alto riconoscimento da parte di un’istituzione unica nella sua ragione storica e culturale come l’Università ebraica di Gerusalemme. E mi rivolgo a voi per quel che rappresento, come Presidente di un paese legato al vostro da vincoli di amicizia e solidarietà divenuti nel tempo sempre più forti e vivi, e, guardando al passato, da memorie luminose di convivenza, di dialogo e di scambio, da momenti memorabili di comunanza ideale, e anche da genuini sforzi di superamento delle pagine più buie vissute dall’Italia nel secolo scorso e costate al popolo ebraico un duro prezzo di umiliazioni e sofferenze.
Mi rivolgo a voi nello stesso tempo come rappresentante di un grande paese fondatore dell’Europa unita e come portatore di un messaggio europeista, nel quale è culminata la lunga esperienza politica da me attraversata tra tentativi ed errori, tra genuine scelte ideali e morali e drammatiche contraddizioni.
Voglio innanzitutto rendere omaggio a questa Università, che viene da lontano, dalle sorgenti stesse della cultura ebraica e dalle ragioni di fondo del movimento volto ad affermare l’identità del popolo e della nazione ebraica nel loro progressivo farsi Stato. L’identità : dunque la cultura e la lingua, cui la vostra università ha dato un contributo inestimabile, peraltro non chiudendosi in sé stessa, tenendo aperte le sue porte, dialogando con altre culture. E nulla, né le guerre e le tensioni succedutesi nella regione, né gli attacchi terroristici, vi hanno fermato nel vostro impegno e nel vostro lavoro. La storia della vostra Università è dunque inseparabile da quella dello Stato di Israele, costituendone un primo embrione fin da anni lontani e poi divenendone un possente fattore di radicamento e promozione, condividendone le prove e le traversie di decenni.
E’ per tutto questo che ho accolto come uno speciale onore il conferimento da parte vostra della laurea honoris causa : vedendovi soprattutto un’espressione di simpatia per l’Italia, anche e in primo luogo in nome di una storica vicinanza al moto risorgimentale per l’unità nazionale, volto a dar vita a quello Stato unitario di cui celebreremo prossimamente nel nostro paese il centocinquantesimo anniversario della fondazione.
Mi riferisco a quel che è rimasto scolpito nella prima anticipazione del movimento per l’autodeterminazione del popolo ebraico e del disegno di uno Stato nazionale ebraico. Chi può dimenticare le parole con cui Moses Hess, profeta del sionismo, aprì il suo Roma e Gerusalemme – L’ultima questione nazionale (si era nel 1862)? “Con la liberazione della Città Eterna sulle sponde del Tevere, comincia la liberazione della Città Eterna sul Monte Moria ; con il rinascimento dell’Italia comincia quello della Giudea.”
Il nostro Risorgimento fu dunque fonte di ispirazione e di incoraggiamento per l’evolversi – a partire dalla seconda metà del XIX secolo – della coscienza ebraica nel senso della consapevolezza di rappresentare non più solo una comunità religiosa ma un popolo e una nazione e di dover mirare al Ritorno nella terra di Palestina. Ma importante, agli albori del sionismo, fu la lezione, soprattutto, di Giuseppe Mazzini per suggerire un approccio alla questione nazionale che presentasse la più limpida impronta umanistica e universalistica. Così, se l’ideale e il progetto sionistico si collocarono nell’età dei nazionalismi, essi si caratterizzarono per la distinzione e distanza da approcci aggressivi e ambizioni di potenza.
A questo pensavo quando – celebrando a Roma, nel Palazzo del Quirinale, il “Giorno della Memoria” della Shoah – denunciai, due anni orsono, l’antisionismo come travestimento dell’antisemitismo. Si, c’è chi – non avendo nel mondo di oggi il coraggio di dichiararsi antisemita – assume come bersaglio il sionismo, con esso identificando una presunta volontà di dominio. E così si dà un clamoroso esempio di immiserimento della politica, riducendola a strumentalismo fazioso, spogliandola di ogni dimensione storico-culturale. Vedo qui, in generale, una delle attuali malattie della politica, una delle cause del suo decadimento.
Mi soffermerò in concreto – nel corso di questa mia esposizione – sugli svolgimenti che ha conosciuto, lungo la strada aperta dall’elaborazione sionista, il processo di costruzione e consolidamento dello Stato di Israele e sui problemi che esso ha oggi di fronte a sé.
Ma desidero prima svolgere ancora qualche considerazione sul retaggio storico del risveglio delle nazionalità e del movimento per l’affermazione di autonome identità nazionali, anche nel loro aspetto statuale. E’ un tema che appartiene solo a un sempre più lontano passato, è un’eredità che terribili esperienze di guerra, scaturite dalle degenerazioni del nazionalismo nel corso del XX secolo, dalle visioni e pulsioni aggressive che ne furono la molla, hanno per sempre oscurato?
Parliamo dell’Europa. Il primo e il secondo conflitto mondiale, e la lunga notte di totalitarismo liberticida, di intolleranza, di esaltazione bellicista che cadde tra l’uno e l’altro, sfociando perfino nella mostruosa aberrazione della Shoah, ci hanno vaccinato contro gli antagonismi irriducibili, i revanscismi, le ideologie improntate alla volontà di sopraffazione e predominio, che abbiamo in ultima istanza identificato col nazionalismo. Di qui è nata la grande intuizione e la costruzione paziente dell’integrazione europea : l’autolimitazione volontaria delle sovranità nazionali, il passaggio a esperienze nuove di sovranità condivisa e a istituzioni sovranazionali anche se non con poteri esclusivi.
Ma non è certo privo di significato il fatto che – nello sviluppo, fino ad abbracciare 27 Stati membri, della costruzione europea – ci si sia attestati sulla formula di una “Unione di Stati e di popoli”. L’integrazione non ha implicato la scomparsa degli Stati nazionali, come qualcuno poteva forse aver semplicisticamente immaginato all’indomani della seconda guerra mondiale ; né tanto meno ha implicato l’annullamento delle diversità e delle identità nazionali.
Direi anzi che ci si trova ormai di fronte all’esigenza di un equilibrio più difficile che in fasi precedenti dell’integrazione europea. Quelle che Moses Hess denunciava come “tendenze livellatrici dell’industria e della civiltà moderna”, sono apparse negli ultimi anni come minacciose tendenze livellatrici e soffocatrici proprie del nuovo processo di globalizzazione. Ed esse suscitano fenomeni di smarrimento nelle nostre società, timori di perdita delle rispettive identità e sicurezze.
Ne nascono – in particolare per l’Unione europea – dilemmi molto seri. Da un lato l’esigenza di rivalutare radici storiche e culturali nazionali, anzi locali e nazionali, rassicurando rispetto allo spettro di una innaturale e prevaricatoria uniformità e insieme di una crescente impotenza di fronte alle logiche della globalizzazione e alle forze che la dominano. Dall’altro lato, la necessità che in un mondo globalizzato e interdipendente, si dia una dimensione nuova, meno che mai strettamente nazionale, all’esercizio di poteri pubblici democratici capaci di incidere sul corso di processi che su scala mondiale tendono a sfuggire a ogni controllo.
E’ quel che stiamo vivendo come non mai per effetto della crisi finanziaria che dagli Stati Uniti è dilagata attraverso tutte le frontiere. E’ dunque giuocoforza mettere l’accento contro le chiusure e i protezionismi nazionali – potremmo dire contro potenziali o velleitari ritorni ai nazionalismi di un tempo : è giuocoforza mettere l’accento, in Europa, su quel rafforzamento di meccanismi decisionali e istituzioni comuni, che invece trova ancora ostacoli nella miopia e debolezza, in troppi casi, delle classi dirigenti e delle leadership politiche nazionali. Rafforzando la sua capacità di integrazione e di azione unitaria, l’Europa può in pari tempo concorrere efficacemente a un’affermazione, più in generale, di nuove regole di governance globale in un mondo così diverso da quello di qualche decennio fa. Agire più di prima in una dimensione che superi i limiti nazionali, assumere così un ruolo di attore globale, è l’unico modo che ha l’Europa – e che con essa hanno i suoi singoli Stati membri – per evitare di scivolare ai margini del nuovo baricentro dell’economia mondiale e degli affari internazionali. Confido che la spinta ideale europeistica, sostenuta dalla forza delle cose, riesca a prevalere in modo da consentirci i nuovi progressi necessari.
Ho voluto dire dei dilemmi che ripropongono, in termini – s’intende – radicalmente mutati, il tema del rapporto tra autocoscienza nazionale e visione universale dei problemi di oggi e del futuro comune : perché in questo quadro si colloca anche la riflessione su quel che è rimasto incompiuto o quel che oggi si presenta tuttora fragile dei processi di unificazione nazionale in paesi come l’Italia e Israele.
In Italia non si è raggiunto l’obbiettivo – riconosciuto dallo Stato nazionale più di un secolo fa – dell’unificazione economica, sociale e civile tra le due grandi aree che concorsero al compimento dell’unità politico-istituzionale del paese : il Nord e il Sud, il Settentrione e il Mezzogiorno. Nonostante prolungati tentativi, le distanze sono rimaste rilevanti, si sono temporaneamente e solo parzialmente, in certi periodi, attenuate ; appaiono oggi ancora più grandi e allarmanti. Non si possono sottovalutare le tensioni e i rischi che ne derivano, per la coesione e l’unità nazionale.
In quanto al vostro paese, la straordinaria rinascita della nazione ebraica ha condotto allo storico raggiungimento della fondazione dello Stato ebraico – e sono qui per celebrarne il sessantesimo anniversario. Si è così riportata nella esistenza ebraica – secondo una definizione di Shlomo Avineri – una nuova dimensione pubblica e normativa. Ma il vostro Stato non è giunto ancora all’approdo dell’universale riconoscimento in seno alla comunità internazionale e segnatamente nel contesto della regione mediorientale, all’approdo di un pieno consolidamento della sua sicurezza nei confini esterni e nella convivenza interna e del suo stesso, originale modello di sviluppo economico e sociale.
Tale consolidamento passa indiscutibilmente attraverso la conclusione di un processo di pace tra Israele, la comunità palestinese e il mondo arabo. Israele, le sue forze dirigenti, i suoi statisti ne sono stati sempre coscienti. La lentezza e tortuosità del cammino verso un accordo che ponga completamente e definitivamente termine al conflitto israeliano-palestinese non deve né far dimenticare e sottovalutare tutte le tappe via via raggiunte né oscurare la consapevolezza che si è sempre manifestata da parte israeliana del comune vitale interesse all’avanzamento e alla conclusione di un processo di pace.
L’accordo di pace con l’Egitto 30 anni fa, l’incontro di Oslo con i palestinesi 15 anni fa, la pace col Regno di Giordania 14 anni fa, il ritiro di Israele dal Libano 9 anni fa : queste le tappe appena rievocate all’ONU dal Presidente Peres, che ne è stato uno degli artefici insieme con statisti israeliani di diverse parti politiche, insigniti di solenni Premi Nobel, da Begin a Rabin allo stesso Shimon Peres. Quest’ultimo, che io ho da lunghi anni imparato a conoscere, stimare e rispettare, ha nello stesso recente discorso richiamato come punto di partenza storico da cui non si può prescindere la contemporanea rinascita nazionale araba ed ebraica, e la dichiarazione congiunta dell’Emiro Faisal e del Presidente Weizmann già nel 1919 mirata alla comprensione tra i due popoli in vista del compimento delle loro rispettive aspirazioni nazionali.
Ci sono poi state nel corso dei decenni cesure e contrapposizioni fatali ; ma non si può non rendere ancora commosso omaggio alla figura di Yitzhak Rabin, al cui coraggio si deve l’accettazione, anche da parte di molti che vi si erano opposti, della soluzione dei due Stati per due popoli che vivano, ciascuno autonomamente, nella pace e nella sicurezza. Non a caso le ultime parole di Rabin furono : “Io credo che ci sia oggi una grande occasione di pace e che dobbiamo coglierla. Il popolo vuole veramente la pace …. Questo è il desiderio del popolo ebraico”. E gli fece eco, parlando dinanzi al suo feretro, Re Hussein di Giordania : “Voi siete caduto come soldato per la pace. Noi apparteniamo al campo della pace. Noi crediamo nella pace”.
Più di un’occasione, purtroppo, è poi andata perduta. Ma il percorso del negoziato è più volte ripreso. Ed oggi è aperto, anche se in un contesto segnato da nuove difficoltà, tra le quali la divisione insorta in campo palestinese. Perché quel percorso proceda più sicuro e spedito, anche l’Europa deve fare la sua parte. L’Unione Europea, cui d’altronde Israele è legata da un solido e stretto rapporto di associazione, è chiamata a contribuire attivamente – con gli Stati Uniti, con la Federazione russa e in sintonia con l’Organizzazione delle Nazioni Unite – allo scioglimento dei nodi che ancora condizionano gli sforzi delle due parti. E io sento di potervi rivolgere un appello a guardare con fiducia all’Europa, a credere nella vicinanza e nell’impegno dell’Unione Europea, nella sua volontà e capacità di assolvere il ruolo che le spetta.
Il superamento – finalmente – del conflitto israelo-palestinese che si trascina ormai dal lontano 1948 ed è stato causa di così pesanti lutti e sofferenze, è condizione essenziale per un pacifico sviluppo del Medio Oriente, per una feconda cooperazione tra i paesi e i popoli che ne sono parte integrante, e oggi anche per la pacificazione della più vasta regione che è divenuta sommamente critica per l’evolversi delle relazioni internazionali nel loro insieme. Come ha dichiarato, nella sua veste di inviato speciale del “Quartetto” per il Medio Oriente, l’ex premier britannico Tony Blair, “ogni progresso sulla questione israelo-palestinese non può che avere effetti positivi” su altri terreni, Iran, Iraq, Afganistan, tutte “facce” (egli ha detto) “dello stesso problema, il rapporto tra Islam e Occidente”. Ed è perciò che appare prevedibile un impegno accresciuto della nuova Amministrazione americana verso il Medio Oriente.
L’Europa e Israele non possono inoltre non condividere l’orizzonte mediterraneo. E’ attorno al Mediterraneo – un mare che ha unito e non diviso le civiltà sorte attorno alle sue rive nel corso dei millenni – che sono state costruite le fondamenta e sono stati creati i principi ispiratori della civiltà di tutto il mondo occidentale. Tra i principali protagonisti di questa storia plurisecolare sono stati i nostri due popoli, il popolo italiano e il popolo d’Israele. Senza Israele non ci sarebbero stati né il cristianesimo né l’islamismo, strumenti fondamentali di civilizzazione, oggi impegnati, insieme con l’ebraismo, pur tra molte contraddizioni, nella ricerca di una nuova, costruttiva comprensione fra le religioni abramitiche, di grande importanza anche al di là dell’ambito religioso. E ai messaggi profetici d’Israele si sono ancora ispirati, in secoli recenti, i padri di quegli ideali di libertà, di uguaglianza, di pace universale e di fratellanza, essenza della nostra civiltà liberale e democratica, divenuta oggi modello per tutta l’umanità.
Orbene, se il nostro sguardo si volge al passato al presente e al futuro, noi siamo certi che i problemi attuali dei popoli rivieraschi del Mediterraneo, e la costruzione di un avvenire di progresso civile ed economico e di pace per tutti loro, potranno ancora ricevere un essenziale, fondamentale contributo da nazioni come la mia Italia, e come Israele, che non hanno dimenticato i valori e gli ideali del loro glorioso passato, e che sono oggi tra i portatori della civiltà contemporanea, nella cultura e nella scienza. Voi, come noi, potete essere ispiratori e partecipi del progresso di popoli variamente impegnati nella ricerca del benessere e della pace.
Questo è l’animo col quale mi rivolgo a voi a nome dell’Italia. Sappiamo quali prove avete dovuto e ancora dovete superare. Possiamo far nostre le parole di David Grossman in memoria di Yitzhak Rabin : “La stessa esistenza dello Stato di Israele” appare “un miracolo – politico, nazionale, umano”. Dal nostro paese, dalle sue forze politiche più rappresentative, dal suo mondo economico e sociale e dal suo mondo culturale, non verrà mai meno – nella consapevolezza di tutto quello che storicamente e idealmente ci unisce – la solidarietà con la causa della libertà e della sicurezza di Israele.
La autonomia di giudizio che si può esprimere dovunque, e nella stessa Israele in quanto Stato democratico, verso determinate posizioni di chi ne rappresenta di volta in volta il governo, non deve mai scivolare sul terreno della delegittimazione di Israele. La preoccupazione che da parte nostra si avverte e si esprime per la condizione del popolo palestinese, e oggi in special modo per la dura condizione della gente di Gaza, non può mai mettere in ombra il problema a cui nessuna parte palestinese e araba deve sfuggire : il problema del pieno, inequivoco, coerente riconoscimento dello Stato di Israele, della sua legittimità, del suo diritto all’esistenza e alla sicurezza.
Perciò ci turbano le reticenze che ancora permangono, ci indignano e ci allarmano le negazioni e le minacce che ancora si levano perfino con la voce di qualche Capo di Stato e di governo. E vi opponiamo il nostro richiamo alla storia tormentata di cui siamo stati partecipi o testimoni, il dovere sempre vivo della memoria – soprattutto – della tragedia dell’Olocausto. E lo facciamo avendo nella mente e nel cuore il ricordo degli ebrei italiani che furono tra i protagonisti dei moti risorgimentali, di quelli che diedero poi contributi di primo piano alla costruzione e al governo del nostro Stato unitario, di coloro che soffrirono nel nostro stesso paese le infami persecuzioni del regime fascista e dell’occupante nazista, di quanti hanno ridato vita a libere comunità ebraiche nella nuova Italia democratica.
Vorrei ricordarvi anche studiosi e politici che in anni lontani già seppero riflettere sul cammino parallelo verso l’unità italiana e l’autoaffermazione ebraica : compreso Antonio Gramsci, che in una delle sue illuminanti note dal carcere fascista sottolineò, sulla scorta di uno scritto di Arnaldo Momigliano, come “la formazione della coscienza nazionale italiana negli ebrei valesse a caratterizzare l’intero processo di formazione” della nostra coscienza nazionale.
Vorrei ricordare ancora le figure di eroi della nostra Resistenza e insieme della causa ebraica : e il nome che mi pare giusto citare è quello di Enzo Sereni, ebreo e antifascista italiano, che fu uomo di eccezionale levatura intellettuale e morale, come ancora emerge dalla lettura del confronto epistolare, a partire dagli anni ’20, con il fratello Emilio, sulla scelta discorde tra comunismo e sionismo ; e che fu tenace combattente, impegnato egualmente nell’appassionata esperienza del Kibbutz Givat Brenner e in audaci missioni fuori della terra di Palestina, fino all’ultima che lo vide paracadutato nell’Italia occupata dai tedeschi, catturato e quindi deportato e assassinato a Dachau.
E infine come non rendere omaggio a quegli italiani che, quasi a risarcimento delle colpe del fascismo scelsero di dare – con un corale apporto di religiosi – solidarietà e assistenza agli ebrei nel momento del rischio più grave, a quelli che qui sono stati onorati come “Giusti” diventando motivo di orgoglio per il nostro paese.
E come non rendere omaggio al grande e nobilissimo scrittore che ha saputo tradurre la terribile esperienza, sua personale come ebreo italiano e dell’intero popolo ebraico, in capolavori di valore universale : il nostro e vostro Primo Levi.
Quanti fili, dunque, si sono intrecciati tra i popoli italiano ed ebraico nel quadro stesso della nostra storia nazionale e – dopo la nascita dello Stato di Israele – nella sfera dei rapporti internazionali.
Fili antichi, fili nuovi, egualmente robusti e vitali. Essi costituiscono qualcosa di più perfino dell’amicizia : costituiscono una vera e propria comunanza di valori e di scelte ideali, il senso di un destino da costruire insieme nel segno della pace, della libertà, della giustizia sulle due sponde del grande mare su cui ci affacciamo, e in Medio Oriente, in Europa, in ogni regione del mondo.