Mumbai/fede
Senza retorica, ma con tristezza ed orrore, mi sembra giusto oggi ricordare rav Gavriel e Rivkah Holtzberg, rav Leibish Teitelbaum, Bentzion Chroman, Yocheved Orpaz e gli altri ebrei uccisi nel Bet Habad di Mumbai. La selezione programmata delle vittime, operata con pianificazione, ha colpito persone che si sono occupate e preoccupate di garantire ebraismo in luoghi lontani e difficili con dedizione ed entusiasmo. Yehì zikhram barukh.
Benedetto Carucci Viterbi, rabbino
Giovedì scorso a Gerusalemme David Grossman e Susanna Tamaro hanno discusso di fede. “Preferisco vivere in un mondo senza mediazione tra me e il caos e sentire che nulla mi consola se non le cose create da me” Così David Grossman. “La fede non è affatto passività, è partecipazione alla pienezza della vita. La protezione non c’entra, io sono esposta: i miei amici, specie quelli di sinistra, hanno molte più risposte di me”. Così Susanna Tamaro. Non so da che cosa ciascuno dei due tragga le sue convinzioni. Non invidio le loro rispettive certezze e dette così mi sembrano anche poco significative e troppo autocompiaciute. Non mi sembra né che l’esposizione sia più evidente per chi crede, né che quelli di sinistra siano più “protetti” degli altri, né che ci sia possibilità di consolarsi con le cose di cui si è in un qualche modo creatori. Per chi avesse dubbi, chiuso il capitolo Mumbay è sufficiente che non si distragga e rivolga lo sguardo dalle parti di Lagos.
David Bidussa, storico sociale delle idee