Mumbai/Mumbai

Ogni volta che accadono fatti come quelli di Mumbai, e purtroppo ciò avviene abbastanza frequentemente, all’orrore e allo sgomento si aggiungono più lentamente altre reazioni e riflessioni. Che cosa ha messo insieme in un angolo del mondo con pochi residenti ebrei, come vittime di un efferato atto terroristico, nella fattispecie anche antiebraico, una coppia di shelichim (“inviati”) del movimento Chabad e alcuni turisti ebrei che erano andati a cercare un pò di cibo kasher e un pò di yidishkeit? Si può invocare il caso, si può richiamare la razionalità politica, ma esiste anche la dimensione misteriosa e inesplicabile. I nostri testi parlano molto spesso di hashgachà (provvidenza) ma è difficile applicare questo concetto ai fatti di ognuno, per cui si distingue ulteriormente tra hashgachà kelalit (collettiva) e peratit (quella particolare, che riguarda il singolo individuo). Nella vita di ognuno e delle collettività dovremmo essere stimolati a cercare la presenza di questo dato. Ma è tremendamente difficile.

Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma

Non è ancora chiaro quanto la strage di Mumbai sia frutto del conflitto tra India e Pakistan o sia legata al più generale attacco terroristico agli occidentali, ma sicuramente le dichiarazioni dell’unico terrorista sopravvissuto vanno in quest’ultima direzione: gli ebrei erano il nostro obiettivo. Non sappiamo, anche qui, se si tratti della verità o di una mera giustificazione ideologica, dato che per i terroristi islamici gli ebrei e gli israeliani sono il male assoluto e l’attacco contro di loro giustifica di per sé le peggiori efferatezze. Ma quel che è successo nei fatti è che nel Centro habad di Nariman House gli ebrei sono tutti stati assassinati e che Israele è, dopo l’India, il paese con più alto numero di morti nella strage. Che l’obiettivo di colpire gli ebrei sia reale o simbolico, che sia un fatto o un pretesto, non cambia quindi la sostanza: quei morti assassinati, di cui ieri rav Carucci ci ha su questa rubrica consegnato il nome, destinati alla morte in quanto ebrei.

Anna Foa, storica